5 minuti per la lettura
Morselli si esprime sull’ex Ilva: “L’azienda è viva e produce. I debiti ammontano a meno di 700 milioni”. Il ministro Urso: “Arcelor Mittal non intende investire in azienda. Dobbiamo cambiare rotta ed equipaggio“
Mentre a Taranto la protesta dell’indotto di Acciaierie d’Italia prosegue ad oltranza. Con gli imprenditori che arrivano ad occupare il ponte girevole della città, la trattativa tra le parti è ancora aperta. Ma i soci sembrano ai ferri corti. L’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli, che rappresenta il socio privato Arcelo Mittal, fa il quadro della situazione dell’azienda. E si sottopone al fuoco di fila delle domande dei senatori nell’ambito delle audizioni in Commissione Industria sul decreto Ex Ilva. Ribadisce la disponibilità degli indiani a cedere quote al governo, e quindi la governance.
Mittal vuole restare, “ma non per forza”, farà “quello che il governo italiano desidera”. Quanto le posizioni siano distanti lo raccontano le parole con cui il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, commenta la “versione” della manager di AdI resa in Commissione. “Dato che il principale azionista di Acciaierie d’Italia che guida l’azienda, cioè Arcelor Mittal, ci ha comunicato di non avere alcuna intenzione di mettere risorse e di investire in azienda, mi sembra chiaro che dobbiamo cambiare rotta ed equipaggio”, dice ai microfoni di Sky Tg24.
Il confronto tra Arcelor Mittal e Invitalia, il socio pubblico, è “serrato per capire se vi è una strada che possa evitare, tenendo conto della decisione di Arcelor Mittal di lasciare l’azienda, l’amministrazione straordinaria. Ove non ci fosse questa strada, procederemo verso l’amministrazione straordinaria, salvando prima, se l’azienda ce lo permette, le aziende dell’indotto”. Lo spiega Urso, escludendo perentoriamente la possibilità che lo stato possa prendere il posto del colosso franco indiano dell’acciaio in AdI.
MORSELLI: “EX ILVA, AZIENDA ANCORA VIVA”
In Commissione, Morselli, sull’ex Ilva, sembra parlare di un’azienda in difficoltà, sì, ma tutt’altro che sull’orlo del baratro. Racconta di “un’azienda ancora viva, che ancora produce, continua a pagare gli stipendi regolarmente, ha gli impianti efficienti”. Anche grazie ai due miliardi, rimarca, investiti da Arcelor Mittal. Un investimento “strepitoso” che poco si concilia con l’obiettivo di spazzare via un competitor, puntualizza l’ad sgombrando dal campo quelle che considera illazioni. Se chiuderla fosse l’obiettivo, afferma, “potrebbe farlo in un pomeriggio”. Non avrebbe sostenuto un investimento da 2 miliardi, afferma: “Era un’azienda fallita e quindi bastava non fare nessuna offerta e attaccarla sul mercato. Se l’altra cordata avesse vinto Arcelor Mittal poteva renderci la vita difficile a gratis”.
Acciaierie d’Italia, sottolinea, “non è in una situazione drammatica”, “quello che è drammatico è l’assenza di capitale di funzionamento”, ovvero l’accesso alle linee di credito per i finanziamenti dovuto principalmente al fatto che “l’azienda ha gli impianti in affitto”, con scadenza 31 maggio 2024, “ed è davvero complicato, se non impossibile accedere a finanziamenti bancari”. Quest’anno l’azienda ha prodotto 3 milioni di tonnellate di acciaio con 10mila dipendenti – “abbiamo un eccesso di personale, nonostante questo anche questo mese abbiamo pagato gli stipendi”, la sottolineatura – La mancanza di soldi “ha fatto sì che abbiamo prodotto per quello che potevamo comprare e mi sembra ancora un miracolo che siamo riusciti a fare”.
Dei 3 milioni di tonnellate prodotte, “due milioni e mezzo di tonnellate sono di acciaio venduto, di ordini non evasi, e un milione di tonnellate di acciaio di magazzino”. “Senza soldi non si produce acciaio”, sottolinea la manager chiamando in causa i 320 miliardi previsti dal piano industriale – che copre fino al 2030 – che “non sono arrivati e sono passati sei mesi” e punta il dito contro lo stop decretato dal governo al sostegno per l’acquisto di energia agli energivori che, dice, “ha fatto aumentare i costi per l’energia di 350 milioni”, quanto ai 680 milioni che lo Stato ha erogato all’ex Ilva nel 2023 “sono andati tutti all’Eni e alla Snam” per pagare le bollette energetiche. Anzi, “sono andati tutti al signor Putin, neanche all’Eni e alla Snam, perché poi li avranno trasferiti” a coloro da cui “hanno comprato il gas”.
Quanto ai debiti dell’ex Ilva, Morselli ridimensiona le cifre circolate in questi giorni: “Il debito di cui si parla è in massima parte inter-company, verso la società capogruppo che finanzia le partecipate, questo vale circa un miliardo. In più c’è un miliardo di debito ‘fantasma’, che dovremmo pagare nel caso in cui dovessimo comprare gli impianti”, precisa. Il debito vero, sarebbe, di fatto “meno di 700 milioni per una società che fattura 3-4 miliardi”, “di cui scaduto solo la metà”.
Per Morselli, con l’acquisto degli impianti “si risolverebbero tutti i problemi”, perché in questo modo Acciaierie d’Italia “diventerebbe un’azienda normale”, mentre adesso “gestisce un altoforno che non è di sua proprietà”. E con quali soldi? “Potremmo fare un mutuo, tutti abbiamo comprato una casa a debito. Si può comprare l’Ilva per un miliardo”.
Quella dell’amministrazione straordinaria non è la strada giusta, sentenzia: “E’ l’ultimo strumento di crisi che si debba adottare, perché porta molto shock sul mercato, quello dei fornitori, che si vedono cancellato il loro debito”, ma anche “molti dei crediti dei dipendenti saranno difficili da recuperare perché alcuni sono protetti dai fondi, ma altri sono persi come le ferie. Quindi anche i dipendenti possono patire. E poi i clienti, che si chiedono naturalmente che ne sarà di quest’azienda. Faccio un discorso generale, a parte le misure che state prendendo voi oggi, perché l’indotto probabilmente uscirà protetto”.
Per l’ad i crediti delle imprese dell’indotto maturati fino al 31 dicembre 2023 sono pari a 72 milioni (140 la cifra indicata dall’Aigi), “poi ci saranno debiti che arriveranno a scadenza, ma molto poco, perché hanno smesso di lavorare a gennaio”. E sulla collaborazione con Sace per fornire i documenti utili ad attivare aiuti e garanzie rilancia: “La definizione giuridica di indotto non c’è. Ho proposto a Sace di chiedere io ai fornitori se erano interessati alle misure allo studio. In due ore mi hanno risposto in 78. Presumo che nelle prossime ore ne arriveranno molti di più”.
La situazione irrita i sindacati che, dopo l’annuncio di autoconvocazione a Palazzo Chigi, sono stati invitati per un confronto lunedì 19 febbraio alle 18.15. Dura la posizione del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: “Occorre immediatamente interrompere questo teatrino che diventa ogni giorno più drammatico. Lunedì dal governo vogliamo finalmente risposte chiare e definitive, non ci può essere un futuro per l’ex Ilva con Mittal”.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA