La conferenza Stato-Regione
7 minuti per la letturaI vecchi non hanno saputo fare neppure un investimento e vogliono continuare a fare le clientele di prima. I nuovi vogliono solo imitarli. Noi abbiamo messo a nudo la vergogna dei diritti di cittadinanza negati alla popolazione meridionale, e su questo non si molla, ma ora abbiamo il dovere di chiedere alle persone di mobilitarsi. Perché si assumano i migliori e si acquisiscano capacità di progettazione e esecutive. Perché i capipopolo non trovino più ascolto. Perché non si perda la grande occasione degli investimenti produttivi
C’è un’immoralità sfuggente che è la più pericolosa. Questa immoralità impalpabile non si fa afferrare ma lascia una scia di disastri perché incide sulla testa e sui comportamenti delle persone. Siamo davanti al gioco degli specchi deformanti che toglie il futuro alle donne e agli uomini del Sud con quel cinismo intellettuale di finto meridionalismo che non ha gli occhi per guardare la realtà ma l’animo spregiudicato per continuare a indicare a tutti il solito dito ignorando la luna.
Si dice con disinvoltura che 82 miliardi e il 40% netto del Piano nazionale di ripresa e resilienza per il Mezzogiorno sono pochi, ancorché mai visti prima da almeno 40 anni, ma si omette di dire che la quota percentuale è invece molto più elevata perché il governo Draghi ha adottato il modello francese e, quindi, non si deve parlare di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ma di Progetto Italia esattamente come a Parigi si parla di Progetto Francia.
Perché in questo caso che è l’unico serio da prendere in considerazione per un Paese che vuole cambiare in profondità e fare le cose che non fa da trent’anni, non è difficile rendersi conto che agli 82 miliardi sui 206 ripartibili territorialmente vanno aggiunti i 9,4 miliardi dell’alta velocità Salerno-Reggio Calabria e i 12,4 miliardi su 15,5 del fondo di coesione e sviluppo restituiti al Sud nel Progetto Italia. Siamo così già al 45% esclusivamente con i fondi italiani che diventano 104 su 231.
Se consideriamo poi, come è doveroso, le disponibilità del fondo di coesione di vecchia e di nuova programmazione ancora non utilizzate, si sale automaticamente al 50%. Ovviamente tutto ciò prescindendo da quanto le amministrazioni meridionali riusciranno ad aggiudicarsi sui 16 miliardi di progetti messi in gara e di quanto potrà incidere la riserva sacrosanta del 60% sui 4,6 miliardi ancora da ripartire e destinati agli asili nido.
Il Progetto Italia del governo Draghi colloca nelle regioni meridionali tra il 50 e il 60% delle disponibilità pubbliche messe in gioco proponendosi di attuare una operazione di coerenza meridionalista almeno doppia di quella attuata dalla Cassa per il Mezzogiorno nel decennio d’oro del Dopoguerra (’51-’61).
Che è l’inizio e la fine dell’unico Progetto Italia possibile oggi perché vede trasversalmente e coerentemente coinvolte la scuola, la ricerca, la transizione energetica, l’alta velocità ferroviaria, la grande portualità e la grande logistica. Siamo al Progetto Italia che può restituire all’Europa la leadership nel Mediterraneo e al nostro Paese una prospettiva di sviluppo che impedisca a Milano di diventare Sud come hanno già fatto molte regioni del centro e il Piemonte.
Per capire quanto è forte la spinta alla convergenza tra le due Italie vanno tenuti a mente i fondi React Eu già integrati nel Progetto Italia (8,5 miliardi) e i 60 miliardi sugli 85 dei fondi strutturali che portano la dote non assistenziale coinvolta a oltre 230 miliardi. Il professore della bassa ferrarese Patrizio Bianchi, oggi ministro dell’istruzione, ha investito, non investirà, nelle scuole del Sud come mai avvenuto onorando la memoria dei grandi meridionalisti lombardi come Vanoni, Saraceno, Morandi.
Soprattutto investe bene premiando i migliori e stimolando il cambiamento. Esattamente come il governo Draghi prima che sulla dote punta su una nuova macchina pubblica degli investimenti e una nuova governance che permettano di spendere realmente nei tempi prestabiliti.
Chi è che protesta nel Mezzogiorno e incita alla lotta per avere quello che si è già avuto? Sono i capipopolo di ieri che non hanno saputo fare neppure un investimento e vogliono continuare a fare le clientele di prima e i capipopolo nuovi con la solita cornice di finti meridionalisti che si vogliono candidare a gestire le nuove clientele.
Né i primi né i secondi neppure hanno capito che quei giochetti sono finiti per sempre. Noi che abbiamo messo a nudo la vergogna dei diritti di cittadinanza negati alla popolazione meridionale, abbiamo il dovere di chiedere alle persone di mobilitarsi. Perché si assumano i migliori e si acquisiscano capacità di progettazione e esecutive. Perché i capipopolo non trovino più ascolto. Il progetto Italia e la carta Draghi sono la grande occasione del Mezzogiorno. Nel secolo non ce ne saranno altre. Si eviti per piacere di farsi abbindolare dai soliti noti.
C’è un’immoralità sfuggente che è la più pericolosa. Questa immoralità impalpabile non si fa afferrare ma lascia una scia di disastri perché incide sulla testa e sui comportamenti delle persone. Siamo davanti al gioco degli specchi deformanti che toglie il futuro alle donne e agli uomini del Sud con quel cinismo intellettuale di finto meridionalismo che non ha gli occhi per guardare la realtà ma l’animo spregiudicato per continuare a indicare a tutti il solito dito ignorando la luna.
Si dice con disinvoltura che 82 miliardi e il 40% netto del Piano nazionale di ripresa e resilienza per il Mezzogiorno sono pochi, ancorché mai visti prima da almeno 40 anni, ma si omette di dire che la quota percentuale è invece molto più elevata perché il governo Draghi ha adottato il modello francese e, quindi, non si deve parlare di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ma di Progetto Italia esattamente come a Parigi si parla di Progetto Francia.
Perché in questo caso che è l’unico serio da prendere in considerazione per un Paese che vuole cambiare in profondità e fare le cose che non fa da trent’anni, non è difficile rendersi conto che agli 82 miliardi sui 206 ripartibili territorialmente vanno aggiunti i 9,4 miliardi dell’alta velocità Salerno-Reggio Calabria e i 12,4 miliardi su 15,5 del fondo di coesione e sviluppo restituiti al Sud nel Progetto Italia. Siamo così già al 45% esclusivamente con i fondi italiani che diventano 104 su 231.
Se consideriamo poi, come è doveroso, le disponibilità del fondo di coesione di vecchia e di nuova programmazione ancora non utilizzate, si sale automaticamente al 50%. Ovviamente tutto ciò prescindendo da quanto le amministrazioni meridionali riusciranno ad aggiudicarsi sui 16 miliardi di progetti messi in gara e di quanto potrà incidere la riserva sacrosanta del 60% sui 4,6 miliardi ancora da ripartire e destinati agli asili nido.
Il Progetto Italia del governo Draghi colloca nelle regioni meridionali tra il 50 e il 60% delle disponibilità pubbliche messe in gioco proponendosi di attuare una operazione di coerenza meridionalista almeno doppia di quella attuata dalla Cassa per il Mezzogiorno nel decennio d’oro del Dopoguerra (’51-’61).
Che è l’inizio e la fine dell’unico Progetto Italia possibile oggi perché vede trasversalmente e coerentemente coinvolte la scuola, la ricerca, la transizione energetica, l’alta velocità ferroviaria, la grande portualità e la grande logistica. Siamo al Progetto Italia che può restituire all’Europa la leadership nel Mediterraneo e al nostro Paese una prospettiva di sviluppo che impedisca a Milano di diventare Sud come hanno già fatto molte regioni del centro e il Piemonte.
Per capire quanto è forte la spinta alla convergenza tra le due Italie vanno tenuti a mente i fondi React Eu già integrati nel Progetto Italia (8,5 miliardi) e i 60 miliardi sugli 85 dei fondi strutturali che portano la dote non assistenziale coinvolta a oltre 230 miliardi. Il professore della bassa ferrarese Patrizio Bianchi, oggi ministro dell’istruzione, ha investito, non investirà, nelle scuole del Sud come mai avvenuto onorando la memoria dei grandi meridionalisti lombardi come Vanoni, Saraceno, Morandi.
Soprattutto investe bene premiando i migliori e stimolando il cambiamento. Esattamente come il governo Draghi prima che sulla dote punta su una nuova macchina pubblica degli investimenti e una nuova governance che permettano di spendere realmente nei tempi prestabiliti.
Chi è che protesta nel Mezzogiorno e incita alla lotta per avere quello che si è già avuto? Sono i capipopolo di ieri che non hanno saputo fare neppure un investimento e vogliono continuare a fare le clientele di prima e i capipopolo nuovi con la solita cornice di finti meridionalisti che si vogliono candidare a gestire le nuove clientele.
Né i primi né i secondi neppure hanno capito che quei giochetti sono finiti per sempre. Noi che abbiamo messo a nudo la vergogna dei diritti di cittadinanza negati alla popolazione meridionale, abbiamo il dovere di chiedere alle persone di mobilitarsi. Perché si assumano i migliori e si acquisiscano capacità di progettazione e esecutive. Perché i capipopolo non trovino più ascolto. Il progetto Italia e la carta Draghi sono la grande occasione del Mezzogiorno. Nel secolo non ce ne saranno altre. Si eviti per piacere di farsi abbindolare dai soliti noti.
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