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LA FUGA dei cervelli è un argomento sempre più all’ordine del giorno, ma andare all’estero non deve essere considerato solo un dramma, soprattutto se chi parte ha poi intenzione di tornare e portare in Italia le competenze e le conoscenze che ha acquisito o migliorato con la propria esperienza. È il caso di Eugenio Alimena, 30 anni, di Belvedere Marittimo, in provincia di Cosenza; dal 2015, laureatosi in lingua e letteratura russa, è a San Pietroburgo per insegnare italiano, occupandosi anche dell’offerta didattica della scuola in cui insegna, della programmazione dei corsi, della formazione e gestione degli insegnanti; coordina il progetto PLIDA, la certificazione di lingua italiana per stranieri della Società Dante Alighieri, ed è referente per il programma PRIA del Ministero dell’Istruzione e della Ricerca russo per la diffusione della lingua italiana. Il suo sogno è svolgere lo stesso lavoro in Italia, tornando appena possibile. Lo abbiamo sentito per scoprire qualcosa in più sulla sua esperienza.
Come descriveresti la Russia e San Pietroburgo?
«San Pietroburgo è come un’elegante ballerina che si prepara per lo spettacolo. È una capitale europea a tutti gli effetti con un’offerta culturale e ricreativa incredibilmente ampia, ma con costi della vita moderati. È affascinante sia d’inverno, con i fiumi ghiacciati su cui passeggiare, che d’estate durante le notti bianche. Descrivere la Russia è più difficile, basta osservare la sua posizione sulla cartina geografica per rendersi conto di cosa sia: mi piace descriverla come un orso superbo che posa una zampa ad ovest e l’altra ad est. Se si è stati a San Pietroburgo o a Mosca non si può dire di aver visitato la Russia, ma una sua minima e falsata parte. La questione sull’identità russa, se sia Europa o Asia, è più che mai aperta».
Quando si pensa a alla Russia viene in mente un Paese forte, ma anche le descrizioni dei grandi autori o i racconti di chi ha vissuto gli anni del regime. Tu avevi aspettative o preconcetti?
«La prima volta che sono arrivato a San Pietroburgo era il 01/05/2012, avevo lasciato Mosca dove iniziava la primavera e qui mi ha accolto una forte nevicata. Il primo pensiero è stato: “Ma allora in Russia nevica sempre e ovunque?”. Sapevo che, come Mosca, San Pietroburgo è una città in continua evoluzione, proiettata verso la modernità. Dalle letture mi aspettavo una città a metà strada tra l’imperiale e l’informale, e così è perché, per parafrasare lo scrittore pietroburghese per eccellenza, “arrivata la sera è il diavolo che accende i lumi dei salotti della città”. Quando qualcuno mi viene a trovare gli dico sempre “benvenuto nella nuova divisione sovietica”; la Russia non è ancora totalmente uscita dall’Unione Sovietica e per molti aspetti è molto lontana dall’uscirne. Rappresentativi della Russia, dove si respira aria post-sovietica, sono i “rynok”, i mercati cittadini di prodotti alimentari, costruiti e allestiti allo stesso modo in ogni città del territorio russo, dove comprano ricchi borghesi e poveri proletari, in pieno stile della politica propagandistica del comunismo sovietico».
Come sono i giovani russi rispetto ai coetanei italiani?
«Crescono più in fretta: a 21 anni sono già al termine degli studi e hanno un lavoro. Penso che siano più sicuri di ciò che vogliono dalla vita e non hanno paura di provare a raggiungerlo anche se con grandi sacrifici. Dei russi mi piace la capacità di non fare troppi progetti a lungo termine e di rialzarsi quando qualcosa va male: “ne vazna”, “non importa”, e con ironia si rimettono in piedi».
Cosa pensi riguardo alla “fuga dei cervelli” rapportata al nostro Paese?
«L’Italia vive un grosso problema non solo a livello politico ed economico ma soprattutto culturale. Mi piacerebbe parlare di “libera circolazione dei cervelli” che nella mia idea presuppone una libera scelta di andare via o addirittura di tornare, piuttosto che la scelta forzata di emigrare e restare fuori. Se non si metterà in atto una seria politica per il lavoro e l’accoglienza cambierà poco e l’Italia continuerà a perderci. La Russia vuole crescere ed essere competitiva, perciò punta sui giovani dandogli la possibilità di mettersi in gioco e di accumulare esperienze. In Italia spesso i giovani si sentono dire “non hai esperienza”, ma come puoi avere esperienza se non ti viene data l’opportunità di maturarla e di farlo con una retribuzione dignitosa? In Italia puoi essere studente a vita, ma l’ennesima teoria è davvero più importante della pratica? Nel 2015 sono partito con l’idea di fare un’esperienza di un anno mentre terminavo gli studi. Poi il lavoro è andato bene e ho deciso di rinnovare il contratto in un momento in cui in Italia non avevo alternative. Qui ho avuto la possibilità di continuare a formarmi sul campo e fare carriera: sono orgoglioso della mia posizione e del mio lavoro. Certamente, però, tornerò in Italia perché è lì che voglio vivere. Dicevo: la Russia punta sui giovani permettendo loro di fare esperienza. A me capita spesso di visionare i curricula di aspiranti insegnanti italiani che non trovano spazio in Italia. Alcuni candidati che poi abbiamo assunto erano principianti senza esperienza ma dotati di buona volontà e ottima istruzione e oggi sono brillanti insegnanti di cui personalmente vado molto fiero. Per me la motivazione è molto importante e non ho mai scartato una candidatura perché “senza esperienza”: se non fai esperienza non puoi maturare esperienza».
Quale consiglio daresti a chi si trova in procinto di lasciare l’Italia?
«Se si ha la possibilità di scegliere il paese o la città in cui trasferirsi un consiglio è sicuramente quello di andare in un posto quanto più possibile affine al proprio carattere. Sulla Russia, come per qualsiasi altro paese, soprattutto se molto lontano dal nostro per cultura e tradizioni, bisogna essere un po’ predisposti per viverci. Oltre a questo, imparare la lingua del posto, anche solo un’infarinatura, perché oltre che un modo per sopravvivere è un segno di rispetto per chi ci ospita».
Per finire, puoi dirci una frase (magari un saluto) in russo?
«Choroshego nastrojenija, che significa letteralmente “ti auguro buon umore”. È un’espressione che mi piace molto sentire, soprattutto qui a San Pietroburgo dove l’inverno è lungo e buio».
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