L'università di Catania
2 minuti per la letturaIl bandolo della matassa riguardo il coronavirus potrebbe essere stato trovato in Sicilia. Uno studio realizzato dall’Università di Catania sulla base di dati Istat e di altre agenzie europee, infatti, avrebbe ravvisato forti correlazioni tra l’impatto della pandemia Covid-19 in Italia e la sua diversa diffusione nelle Regioni. La ricerca è intitolata “Strategies to mitigate the Covid-19 pandemic risk” ed è stata condotta da una squadra dei dipartimenti dell’ateneo siciliano di Economia e impresa, Ingegneria elettrica, Fisica e astronomia, Medicina clinica sperimentale, Matematica e informatica, Ingegneria civile e architettura. Il risultato cui sono giunti i ricercatori è che i fattori che contribuiscono alla diffusione del morbo sono inquinamento atmosferico da Pm10, temperatura invernale umida, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere ed infine densità abitativa.
«Il nostro indice di rischio epidemico – sostengono i ricercatori – mostra forti correlazioni con i dati ufficiali disponibili dell’epidemia Covid-19 in Italia e spiega in particolare perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo molto di più rispetto al Centro-Sud. D’altra parte queste sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali, come rivelano i dati dell’Iss». Per i ricercatori dell’Università etnea, quindi, è da ritenersi che non sia un caso che «la pandemia di Covid-19 si sia diffusa più rapidamente proprio in quelle regioni con un più alto rischio epidemico come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto». Secondo lo studio «in Italia, a causa di una fortissima percentuale di asintomatici o sintomatici lievi» ci possono essere al momento da uno a dieci milioni di persone che sono venute in contatto col virus. Di qui l’osservazione che «l’impatto positivo è venuto dal lockdown». Le zone d’Italia da Roma in giù possono quindi guardare alle prossime settimane con un cauto ottimismo? I ricercatori catanesi sottolineano che i dati «lasciano ben sperare per il Centro-Sud, dove molto probabilmente l’impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati».
Lo studio dell’Università di Catania appare coerente in alcune sue conclusioni con un altro condotto da ricercatori dell’Università di Harvard, negli Stati Uniti, non ancora pubblicato nei giorni di vigilia di Pasqua ma disponibile in pre-print. «Un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine al particolato Pm2.5 porta a un grande aumento del tasso di mortalità da Covid-19», si legge. Gli autori spiegano di aver osservato che «un aumento di un solo microgrammo/metro cubo nei livelli di Pm2.5 è associato a un aumento del 15% del tasso di mortalità da Covid-19, con un intervallo di confidenza del 95% (5-25%)». Della squadra di ricercatori di Harvard fa parte anche un’italiana, la statistica Francesca Dominici.
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