Massimo Galli
3 minuti per la letturaRieccolo. Nel bailamme delle cronache intasate dal Covid, nel nostro quotidiano sfuggente, nella nostra diuturna inquietudine, si staglia oramai un’unica certezza. Un uomo solo al comando. Il suo nome è Galli, Massimo Galli.
Il professor Galli, razza padana purissima, lombardo doc, nasce come Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Ospedale Sacco di Milano; è un medico col dono sciamanico dell’ubiquità.
L’altro giorno, tra La7 e la Rai, l’ho intravisto in ben tre programmi quasi in contemporanea; e non dubito che nello stesso momento facesse lezione all’università o visitasse un paziente. Ora che virologi, epidemiologi, infettivologi, in seconda battuta pneumologi (perfino urologi se passasse la vulgata, alla Briatore, prostatite/Covid) si avvicinano a commentare le elezioni – dall’ottica sanitaria, naturalmente-; be’, il Galli diventa il simbolo stesso della politica ibridata alla scienza. Perché Galli non fa politica, ma, facendo sé stesso, fa politica.
Selvaggia Lucarelli lo dipinge, affettuosamente, così: “Con quell’aria di vaga insofferenza nei confronti dell’intervistatore, delle domande poste, dei pollini di stagione e del colore della giacca di Floris, con le sue risposte tranchant e il ghigno beffardo di chi piuttosto che darla vinta al virus farebbe da cavia umana pure a un vaccino creato da Red Ronnie, Massimo Galli è la Mara Maionchi degli infettivologi”. E sottoscrivo. Galli possiede l’innaturale abilità di assestare colpi di katana agli interlocutori ma sempre con sorrisi increspati e una ferocia da togliere il fiato. Il prof, al Messaggero, dichiara sul campionato di calcio: “Capisco che togliere i circenses agli italiani possa dispiacere, ma dal punto di vista scientifico portare il pubblico negli impianti sportivi può avere gli stessi effetti che abbiamo visto nelle discoteche. Le scuole mi pare sacrosanto dobbiamo aprirle, non gli stadi”.
Però, sull’apertura delle scuole, specifica: “Non sarei stato scandalizzato se avessero aperto solo il primo ottobre, in una situazione in cui tutto fosse stato sistemato a dovere”. E, precedentemente aveva chiesto “l’unanimità di voto” sul contiano Decreto chiudi- Italia (lui che era stato il primo a prendere il Covid sottogamba); e dopo ancora aveva parlato di danni dei contagi di Ferragosto superiori “a quelli dell’economia”. E il mese prima ancora, riguardo al convegno anti-allarmista organizzato dalla Lega sul Coronavirus, era stato inappellabile: “Non ha alcuna base scientifica, è un messaggio pericoloso”.
E si può anche essere d’accordo con lui, su questo. Ma è innegabile che il Galli, con questo genere di uscite tranchant, abbia invaso il campo di almeno quattro ministeri -sport, istruzione, interni, economia- e massacrato l’opposizione. Galli, ex sessantottino mai pentito, fa, appunto, politica. Anche se, poi, richiesto da Lilli Gruber a La7 di commentare se esistesse “un modo di sinistra e uno di destra di affrontare una pandemia”, l’uomo negò di volersi “infilare nell’agone della politica”, dichiarandosi disponibile eventualmente a condurre il Festival di Sanremo. Ma credo che Lilli, ascoltandolo intimorita, avesse avuto la mia stessa impressione: mentre il prof parlava, assomigliava in modo impressionante a Cirino Pomicino nell’atto di accettare il ministero del Bilancio nel governo Andreotti VI. Per pura coincidenza, era medico pure Pomicino.
Galli ha capito perfettamente i meccanismi del contagio mediatico. E sempre in camice, sempre con la sua bella e indomabile cravatta a pois, è diventato un mago nell’interlocuzione coi giornalisti. Sempre Lucarelli fa degli esempi: “Giornalista 1: “Professore, principali vettori del contagio?”. Galli: “Nel mio caso voi giornalisti”. Giornalista 2: “Professore, se le dovessero chiedere quali misure più stringenti si potrebbero adottare lei cosa direbbe?”. Galli: “Normalmente non me lo chiedono!”. Giornalista 2: “Ma glielo chiedo io”. Galli: “Ecco, brava”. Ecco. Dicesse le stesse cose un Conte qualsiasi, verrebbe crocefisso sul più alto pennone di Palazzo Chigi. Le dice il Galli e la gente applaude; anzi, probabilmente a qualcuno, tra poco, verrà pure l’intuizione che, in fondo in fondo, mettere un virologo a Palazzo Chigi potrebbe non essere un’idea così peregrina…
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