Franco Arminio
3 minuti per la letturaIl presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di recente ha lanciato l’allarme su quello che ha definito «l’ulteriore spopolamento di paesi e borghi». Specie in quelli del Sud Italia, del resto, si sta assistendo ad una nuova ondata migratoria, una vera e propria emorragia di persone, soprattutto di giovani. Dal 2012 al 2017 se ne sono andati via dal Mezzogiorno in 879.712, quasi in 180mila all’anno, in maggioranza giovani.
Se a questo si aggiunge che anche nel Meridione, un tempo prolifico ventre d’Italia, si assiste a un rigido inverno demografico, il futuro appare grigio. Il verde della speranza e dei boschi della sua Irpinia, invece, trasuda dai versi del poeta Franco Arminio, cantore dei borghi ameni dell’Appennino meridionale. Il Quotidiano del Sud lo ha intervistato.
Come si spiega lo spopolamento di paesi e borghi del Sud?
«È un processo che affonda le radici nel tempo, tutto nasce dalla miopia di una classe politica illusa dall’idea che l’industria avrebbe sostituito il mondo contadino, che la fabbrica sarebbe sorta al posto della vigna. Questo modello di sviluppo non ha funzionato. La fabbrica va affiancata alla vigna»
E così anche il Sud, un tempo terra proficua in termini demografici, ormai registra il calo delle nascite…
«Se quelli che dovrebbero fare figli, i giovani, in gran parte se ne vanno, ciò diventa inevitabile. Il dato è allarmante soprattutto nelle aree interne, in alcuni paesi di montagna è ormai quasi impossibile incrociare una persona non anziana. Lo spopolamento e la denatalità sono questioni strettamente legate e preminenti, eppure in molti continuano a non considerarne la portata. Dovrebbero essere temi al centro dell’agenda politica. Ma ne dovrebbero parlare anche gli intellettuali, invece un po’ per provincialismo snobbano la questione preferendo temi alti ma scollegati dalla realtà concreta delle persone».
Negli ultimi anni al Sud c’è stato un incremento di nuove imprese agricole, quasi sempre lanciate da giovani. È un dato incoraggiante?
«A mio avviso è un fenomeno perlopiù mediatico. In realtà i giovani che fanno reddito vero grazie all’agricoltura sono ancora molto pochi. Il ritorno alla terra può essere proficuo, può rappresentare un’occasione di riscatto per il Sud, ma devono esserci le condizioni».
Cosa intende?
«Deve avvenire un cambio di paradigma culturale nei consumatori, i quali avrebbero tutto l’interesse a spendere di più per i prodotti della terra: conviene all’economia agricola, all’ambiente, alla salute, dunque a sé stessi. Alla cultura andrebbe poi affiancata una più incisiva politica di sostegno all’agricoltura».
Oltre ad esigenze lavorative, può darsi che contribuisca alla nuova ondata migratoria dal Sud una sorta di complesso d’inferiorità dei meridionali, specie di quelli dei paesi, che li porta a fuggire dalla propria terra per cercare altrove chissà quale miraggio?
«Certamente. Il Sud ha sempre avuto una percezione negativa di sé. Ma il problema è principalmente politico: negli ultimi trent’anni è mancato un intervento serio per il Meridione. Sarebbe occorso un piano simile a quello che, dopo la riunificazione, adottò la Germania nei confronti della sua parte orientale, per risollevarla. Tra le nazioni avanzate, solo l’Italia conosce un divario in termini di servizi e di assistenza come quello esistente tra Nord e Sud».
In cosa dovrebbe consistere il piano per il Sud Italia?
«In politiche per il lavoro e per il recupero dei paesaggi, per far fronte a dissesti, terremoti, isolamenti. Significa investire grandi risorse è vero, ma il beneficio sarebbe per tutto il Paese, perché recuperare paesi destinati allo spopolamento significa renderli produttivi e dunque utili all’economia nazionale».
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