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Un pezzo di carta. Conquistato al costo di un biglietto di sola andata. Lontano da casa. È una tappa obbligata, pare, per i giovani del Sud Italia che in numero sempre crescente scelgono di studiare e poi lavorare al Nord. Con la conseguente, ormai nota, perdita in termini di capitale. Umano ed economico.

Se infatti le statistiche rivelano che nell’anno accademico 2016/2017 il numero delle matricole universitarie in Italia è complessivamente aumentato di ben 12.295 unità rispetto all’anno precedente (283.414 contro i 271.119 del 2015/2016), non saranno tutti gli Atenei a poter festeggiare. Bastino pochi esempi: in Sicilia si perde uno 0,8% delle iscrizioni a Catania e addirittura l’8,8% alla Kore di Enna, a fronte di un trend positivo registrato da Palermo (+8,65) e da Messina (+12,7%).

L’Università della Calabria registra un costante calo delle iscrizioni, evidenziato da una parabola discendente che sul sito dell’Ateneo è raffigurata in un grafico che dal 2009 al 2016 perde 7.000 unità. Stessa storia all’Università di Bari, che conta nel 2017 circa 700 iscritti in meno rispetto al 2014, e perfino alla Federico II di Napoli, dove a fronte di un aumento delle iscrizioni nel 2016, si è comunque registrato negli anni un calo proprio nelle facoltà storicamente considerate l’eccellenza dell’Ateneo, come Giurisprudenza.

Un popolo di ignoranti, dunque?

Al contrario: un popolo di studiosi. Ma altrove. Un esempio su tutti: nell’ultimo anno la Statale di Milano ha registrato 25.000 iscrizioni in più rispetto a dieci anni fa (11.542 domande di iscrizione nel 2008, 36.037 nel 2018, come riporta il sito dell’Ateneo). Migliaia di studenti che da qualche parte dovranno pur venire.

La mobilità degli studenti del Sud, dunque: che miniera d’oro. I dati pubblicati da Anvur (Agenzia Nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) segnalavano a fine 2018 che Torino, Milano e Bologna erano le città italiane in cui si registrava il maggior numero di contratti d’affitto transitori, sottoscritti proprio da studenti fuori sede. Il “saldo migratorio” in rapporto agli immatricolati residenti appare impietoso: +56 in Trentino Alto Adige, +52,6 in Emilia Romagna, e + 13,2 in Lombardia.

Contro il -65,3 della Basilicata, il -38,8 della Calabria e il -32,4 della Puglia. Il dato è confermato dal tasso di mobilità degli over 20 che si attesta secondo Anvur intorno al 23% dal Meridione e al 25% dalle Isole. Bilancio che si aggrava se consideriamo che tra gli studenti che hanno conseguito una laurea triennale in un Ateneo del Sud, oltre il 24% ha scelto poi di proseguire con una specialistica o un master al centro o al nord. Senza contare naturalmente quelli che partono una volta laureati, giusto in cerca di lavoro: una perdita che secondo l’Ocse costerebbe allo Stato circa 164.000 euro per ogni testa laureata che se ne va.

Tutta economia e commercio che prende il volo: l’ultimo rapporto Svimez, infatti, denuncia che, su una base di scolarizzazione complessivamente inferiore rispetto a quella settentrionale, sul Mezzogiorno grava anche il peso delle spese sostenute per formare professionalità che andranno poi a mietere frutti altrove. Basso è il tasso di occupazione per i diplomati e i laureati a tre anni dalla laurea. Appena 70 mila su 160 mila (43,8%), contro i 220 mila su 302 mila (72,8%) del Centro Nord.

Questo, sottolinea Svimez, spiega l’aumento del numero dei giovani che dal Sud emigrano verso il centro-nord o verso altri Paesi: nell’anno accademico 2016/2017, i giovani del Sud iscritti all’università erano circa 685 mila circa, di questi il 25,6%, studiava in un ateneo del Centro-Nord. Nello stesso anno accademico il movimento “migratorio” per studio ha coinvolto, dunque, quasi il 30% della popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Ciò, secondo Svimez, comporta, «oltre alla perdita di capitale umano, una minore spesa per consumi privati, in diminuzione al Sud, e una minore spesa per istruzione universitaria da parte della Pubblica amministrazione».

Come dire: danno, beffa e pure punizione.


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