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L’operazione Verità e lo scippo che qualcuno non vuole vedere

Si parva licet componere magnis, se è lecito paragonare le cose piccole con le grandi, spero che i lettori mi perdoneranno, ci occuperemo per una volta non del Mezzogiorno ma del suo ministro pro tempore. Giuseppe Provenzano, classe 1982, tessera Pd e segni di riconoscimento pentastellato di genere entusiastico, irrituale, incompetente, desunti dalla lunga intervista rilasciata a Repubblica e di cui vi segnalo la gustosissima e documentata “controlettura” di Ivana Giannone alle pagine II e III del giornale (CLICCA QUI PER ACQUISTARE L’EDIZIONE DIGITALE DE IL QUOTIDIANO DEL SUD). Rivela lei, non il ministro, conoscenza e capacità comparativa di analisi passata, presente e prospettica dei temi trattati. Vi aiuterà a capire.

Diciamo subito che non siamo delusi, ma imbarazzati per la nebulosità che avvolge tutto il suo ragionare. Ha davvero paura, Provenzano, di pronunciare le due paroline operazione verità, si vergogna di dire ciò che il ministro per gli affari regionali del suo Governo, Francesco Boccia, ha solennemente dichiarato in Parlamento: 61 miliardi di spesa pubblica dovuti al Sud sono regalati ogni anno al Nord.

Tralasciamo che questo giornale è stato il primo a lanciare l’operazione verità e che Adriano Giannola, il padre nobile della Svimez che è la scuola da cui proviene Provenzano, ha l’intelligenza di ripetere ovunque che senza condividere questi numeri non si va da nessuna parte. Sorvoliamo sul fatto che tutto ciò avviene nonostante alla guida dell’esecutivo ci sia un presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che sfida ogni impopolarità e ripercorre con lucidità la strada della coerenza meridionalista degasperiana. È stato lui il primo, con due lettere a questo giornale, a sottolineare l’esigenza di porre mano al riequilibrio della spesa pubblica per la evidente assenza di perequazione e perché questa è la strada per fare ripartire l’Italia intera.

Francamente non sappiamo se tanta ingiustificata renitenza di Provenzano, come ci sussurra chi lo conosce bene, nasce dal fatto che si sente un po’ il primo della classe e, siccome non è il primo a dirlo, tace o se abbia colpito anche lui la sindrome delle “luci della ribalta” degli uomini della politica a cui viene affidata la responsabilità della questione sistemica del ritardo italiano.

La sindrome delle luci della ribalta significa che è obbligatorio “aggiustarsi” davanti ai poteri forti di questo Paese, di loro da tempo in disfacimento e grazie a questo servaggio culturale destinati alla dissoluzione, per cui non si ha la forza e la dignità di dire che i soldi pubblici al Sud non sono stati sprecati o inutilizzati ma semplicemente totalmente sottratti e che, addirittura, anche i fondi per la coesione e i cofinanziamenti nazionali ai contributi comunitari sono stati di volta in volta in gran parte requisiti per misure di stabilizzazione finanziaria (il Sud ha pagato il costo dell’austerità nazionale) o per finanziare la cassa integrazione delle imprese del Nord.

In chi è affetto dalla nota sindrome l’opportunismo di non disturbare troppo i presunti poteri forti vince sempre sulla constatazione dei fatti. Vogliamo almeno dire che restiamo gli incapaci da strigliare sempre e comunque, ancorché depredati? Chi se ne frega se poi si scopre che nell’utilizzo dei fondi contro il dissesto idrogeologico le Regioni del Nord spendono a un ritmo di gran lunga inferiore a quello delle Regioni del Sud. Che sarà mai!

Per cercare di farci capire ancora meglio dal renitente Provenzano useremo le parole di ieri del suo collega Boccia in un’intervista su Huffington Post: “Destinare il 34% della spesa pubblica a priori al Mezzogiorno non è una concessione di favore, è un debito, mai pagato, del Paese verso il Sud. È un’operazione di igiene politica. Si cerca di far rispettare quello che è stato tradito politicamente”. Quando usciranno dalla bocca di Provenzano parole così chiare? Non è dato sapere. Intanto leggiamo che butta lì 100 miliardi in dieci anni, con briciole forse reali per i prossimi tre anni, 1,5% della spesa messa a budget (nulla, chiaro?) e i soliti contributi comunitari (mai stati sostitutivi, ministro!) nei sette anni a seguire quando, forse, né il Mezzogiorno né l’Italia saranno più nel novero dei Paesi industrializzati. In dieci anni cento miliardi, detto così, fa ridere. Non si sa neppure a che cosa servirà quel ridicolo miliarduccio e mezzo messo in campo.

La storiella dell’ex ante e dell’ex post, al netto delle buone intenzioni, va bene per i comizi o al bar. Parliamone tra un po’ quando si potrà vedere chi ha rispettato e chi no il sacrosanto, minimalistico vincolo territoriale. Avremmo voluto leggere al posto di un effluvio di parole tutte sulla difensiva un elenco chiaro di opere infrastrutturali che, nell’interesse dell’Italia a partire dal Nord, si faranno da qui ai prossimi 24/36 mesi con data di inizio e di fine lavori. A partire dall’alta velocità ferroviaria Napoli-Bari. Il resto sono chiacchiere e non sono spendibili neppure come orazione al funerale italiano che di certo ci sarà se le cose non cambieranno. Nel frattempo, se riuscite a superare l’imbarazzo, quando Provenzano arriva nelle vostre piazze, cari lettori, accoglietelo con un bel cartellone con su scritto 60 e passa miliardi. Non dovete chiedergli nulla, di quello scippo lui non è responsabile. Dovete solo ricordargli che in quel numero c’è il codice segreto per riaccendere il secondo motore (Sud) e fare correre il primo motore (Nord) della macchina italiana. Altrimenti, chi prima chi dopo, tutti finiremo fuori strada.


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