GIuseppe Conte e Giovanni Tria
3 minuti per la letturaCresce sempre più l’insofferenza dei nostri governanti per le regole contabili dell’Europa in materia di bilancio pubblico. Regole che, come è noto, sono essenzialmente due:
1) il deficit annuale non può superare il 3%;
2) l’indebitamento non può andare oltre il 60% del Pil.
Sul primo parametro va detto che il logorante tira e molla con l’Europa ci ha consentito in questi anni di rispettarlo solo formalmente, si capisce; e allora, com’era inevitabile, il secondo parametro si è vendicato.
Oggi, infatti, il nostro debito è più che doppio di quello che dovrebbe essere: siamo ad oltre il 130% e marciamo a vele spiegate, speditamente, verso il 140% .Che cosa si può dire? Il meno che possa dirsi è che questa situazione non può durare a lungo: è destinata ad esplodere fragorosamente. E allora la domanda: è colpa delle regole o della riottosità di alcuni Paesi a sottommettervisi? Secondo me è colpa un po’ dell’una e un po’ dell’altra.
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Dico subito che, tecnicamente, queste regole non mi convincono. Ma, con altrettanta chiarezza, dico che in materia di bilancio alcune regole occorrono. Per il tipo di Europa che abbiamo costruito, regole in materia di bilancio sono necessarie. Se quelle che abbiamo non vanno bene (e a mio parere, lo ripeto, non vanno bene) cambiamole per renderle più aderenti ai fatti. Ma non illudiamoci di poterle cancellare. Le regole possono certamente essere cambiate, ma solo ad esito di un processo che dimostri, da un lato, la loro inadeguatezza e, dall’altro, ne individui di nuove più aderenti alla realtà o, se si vuole, alla mutata realtà.
A mio parere, il punto debole dell’attuale disciplina è l’assenza di ogni collegamento contabile tra i diversi esercizi. Ogni bilancio rimane un mondo a sé, staccato da quelli che lo hanno preceduto e da quelli che lo seguiranno. Esiste, è vero, un collegamento attraverso il debito, ma si tratta di un collegamento poco stringente che non mette i governanti di fronte alle proprie responsabilità. E poi diciamocelo con franchezza: nell’opinione generale, la crescita dell’indebitamento non è colpa di nessuno.
A mio parere andrebbe realizzato un collegamento più stretto tra i risultati (avanzo e, soprattutto, deficit) dei diversi esercizi. Non si ricusa certo, in via di principio, che un bilancio possa chiudersi in disavanzo anche cospicuo: quel che importa è che tale disavanzo possa essere riassorbito in futuro attraverso gli effetti positivi delle maggiori spese o delle minori entrate che lo hanno originato; e se per una qualche ragione non viene riassorbito deve scattare, in modo quasi automatico, un aumento delle entrate o una riduzione delle spese che valgono a ripristinare l’equilibrio di gestione. Insomma quando un bilancio si chiude in disavanzo occorre indicare, nel bilancio medesimo, l’esercizio o gli esercizi futuri nei quali, sotto il vincolo della loro chiusura in pareggio, esso verrà recuperato. In altre parole, si chiuda pure il bilancio con un disavanzo (del 3% o anche più), purché questo disavanzo possa essere realisticamente riassorbito in futuro.
SERVONO SANZIONI
Naturalmente, per essere veramente efficace, la nuova disciplina deve prevedere adeguati meccanismi sanzionatori. Secondo me, nei casi più gravi, le sanzioni possono colpire anche le persone o i partiti ai quali esse appartengono. Quello qui sommariamente illustrato è solo uno spunto che andrebbe approfondito ed eventualmente integrato con norme volte a limitare comunque l’entità del disavanzo o il numero di anni futuri nei quali esso potrà essere «recuperato». Accanto a questo spunto ve ne possono essere altri più o meno efficaci. Ma va accantonata l’idea che le regole possano essere sic et sempliciter cancellate. Se non siamo in grado di trovarne altre, teniamoci quelle che abbiamo ma senza vane discussioni e, soprattutto, senza generiche e immotivate accuse all’«Europa».
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