Un momento della trasmissione
3 minuti per la letturaIl “Maurizio Mannoni late night Show” di venerdì 17 su RaiTre è stato da antologia e se l’avete perso correte a Rai- cliccarlo subito. Lui, il nostro preferito conduttore (LEGGI) in via di autoestinzione era più improsciuttito che mai, vagante e intermittente come un Amleto da sala parrocchiale.
L’INSEGNANTE PALERMITANA
Il tema era quello del giorno: un’insegnante palermitana ha fatto cimentare i propri allievi – totalmente ignar i di storia – sul tema: esiste un’analogia fra le leggi razziali del fascismo e le leggi di Salvini sull’emigrazione? L’insegnante come si sa è stata brevemente sospesa, ma non subirà danni. Salvini, che conosce il Manuale delle Giovani Marmotte Mediatiche, ha detto che l’insegnante per quanto lo riguarda può pure restare al suo posto, tanto lui se ne fotte. E la sinistra, nel senso del sinistrese da studio televisivo, ha fatto finta che fosse davvero in discussione la libertà di pensiero, di critica e di ricerca, senza escludere a priori quella di caccia e pesca. Una demenzialità conformista dominata dalla collettiva lentezza di riflessi di ospiti che, comunque, apparivano fulminei rispetto a Maurizio Mannoni.
IL CONDUTTORE FRUSTRATO
Il conduttore, disperso e frustrato nella ricerca degli appunti implorava l’aiutino di Roberto Vecchioni mentre borbottava il repertorio dei suoi be’, insomma, non è vero?, in fondo, cioè, no?, insomma, vediamo, be’, no?, forse, per andare poi a parare sulla tesi più cretina e antiliberale e cioè che gli alunni della prof palermitana, svolgessero una utile ancorché ignorante “provocazione” in conflitto di interessi con la realtà e l’etica. Tanto, era sottinteso, a Linea Notte, tutto fa brodo.
LA DICIOTTI E AUSCHWITZ
E quindi è emerso che sia proprio della “buona scuola” discutere se la politica contro l’immigrazione illegale sia confrontabile con la persecuzione nazista degli ebrei anticipata dalle infami leggi razziali del 1938. Ovvero: la Diciotti è come Auschwitz? E’ aperto il dibattito. Sarebbe stato poco danno se l’incredibile tema fosse stato discusso da due punti di vista anche con le dita negli occhi, ma non è stato così: nella Mannoni-land tutto evapora nel sonno della ragione. Emergeva un giornalista che si è definito liberale anche se si limitava a sospettare, nulla più che sospettare, che il tema della prof di Palermo non fosse del tutto appropriato, ma che comunque poteva andare.
CONFLITTO ESISTENZIALE
Noi seguitiamo a sospettare che Mannoni anziché esserci, ci fa. E cioè che, essendo dalla nascita in conflitto esistenziale con se stesso e con il sinistrese di rete, si finga colpito dall’Alzheimer di Saxa Rubra e per evitare l’outing e si finga svalvolato farfugliando borborigmi come le galline mentre frugano la terra. Inoltre, questo giornalista diversamente focalizzato, quando non sa che dire, cioè sempre, tenta di aggrapparsi come un naufrago alla copia del “Fatto” sulla bacheca elettronica, servita dalla collega Mariella che lo guida in romanesco di sinistra.
RIFLESSO NEURONALE
Per questo, immaginiamo, quando gli propongono di commentare i titoli di un’altra testata compresa la nostra, un riflesso neuronale legato all’angoscia di morte gli impone di mormorare: “Ma vediamo piuttosto che cosa dice Il Fatto”. Roberto Vecchioni (che amiamo) riproponeva poi in musica nostalgica le gioie del ’68 nel suo nuovo album, ma subito dopo – come tutti i presenti compresa l’ineffabile Giovanna da New York – cadeva in confusione vinilica su com’erano fatti i dischi prima del digitale.
FINALE PARKINSONIANO
Ed è stato uno spettacolo nello spettacolo, perché tutti parlavano seriamente dei “75 giri”, che erano invece i “78 giri”. Cioè il disco che si rompeva cadendo, confuso col “45 giri” che era piccolo e non si rompeva ma si graffiava e altri vaghi ricordi del trentotto giri che invece era il 33. Tutti erano sul finale ancora più parkinsoniani e perduti persino nel passato che pretendevano di evocare. Grottesco e potenzialmente comico, è un programma da sconsigliare a chi soffre di depressione e a chiunque conosca la storia, per rischio coronarico.
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