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Da Salerno spuntano ombre sulla credibilità di Maurizio Avola, e pure un’indagine. L’ex killer ed ex pentito di Cosa Nostra, autoaccusatosi della strage di via D’Amelio, in cui perì il giudice Borsellino con la scorta. Avola – sicario del clan catanese Santapaola – è la presunta “gola profonda” di “Nient’altro che la verità”.
È il libro-intervista di Michele Santoro, appena uscito in libreria. Testo preceduto da un grande battage, e tante comparse tv del celebre giornalista salernitano. La sua attendibilità, però, è esclusa dalla Dda di Caltanissetta, competente per l’eccidio. E ora, si scoprono ulteriori elementi di opacità. A evocarli il 4 marzo 2016, in udienza a Salerno, è Vincenzo Cavallaro.
Un pentito calabrese di peso. Cavallaro testimonia al processo sugli investimenti di ‘ndrangheta a Salerno. Secondo lui, mesi prima, Avola lo avvicina nel carcere di Voghera. Il siciliano gli chiederebbe di ritrattare le accuse a carico di Luigi Giuseppe Cirillo, figlio del defunto boss di Sibari, Giuseppe Cirillo, alla sbarra per intestazione fittizia di beni.
Un consiglio amichevole, non minacce. Cavallaro ed Avola sono detenuti nello stesso reparto. Una sorta di limbo carcerario, riservato ai fuoriusciti dal programma di protezione. Un circuito intermedio, dove c’è di tutto: ex pentiti che cercano di riaccreditarsi, collaboratori mai entrati nel programma, oppure chi il beneficio l’ha perso, per aver capitalizzato il contratto con lo Stato, o magari perché pizzicato a commettere reati. In ogni caso, gente da mettere al riparo da possibili vendette. In tale contesto,
Avola tenterebbe di subornare il teste Cavallaro. Per queste circostanze, la procura di Salerno apre un fascicolo nel 2015. Ossia, all’epoca delle prime parole di Cavallaro, raccolte in carcere da un pm di Pavia. Come atto dovuto, il catanese è iscritto nel registro degli indagati.
L’ipotesi: tentata induzione a non rendere dichiarazioni. Gli atti sono trasmessi alla procura di Pavia, competente per territorio. Da qui, è presumibile un altro trasferimento, per competenza distrettuale, alla Dda di Milano. Di quel fascicolo, ad oggi, nulla si sa in più. In assenza di riscontri, per le frasi di Cavallaro, la posizione di Avola potrebbero essere stata archiviata. Secondo il pentito calabrese, l’abboccamento avverrebbe tra ottobre e dicembre 2015.
Ossia, subito dopo il deposito dei verbali, contenenti le sue dichiarazioni. Carte in cui emergevano indizi a carico di Cirillo, confermati in dibattimento da Cavallaro. Il presunto intervento di Avola, invece, sbuca nel controesame della difesa. Il processo a Cirillo, intanto, sta celebrando ancora il primo grado. Tuttavia, viaggia verso la prescrizione delle accuse.
Nei verbali d’udienza, comunque, resta traccia del giallo Avola. Un personaggio sulla cui sincerità punta Michele Santoro, pronto a giocarsi tanto, rilanciando l’ultimo dei misteri d’Italia. Una versione assai controversa, che vorrebbe ridimensionare un altro pentito: Gaspare Spatuzza, uomo chiave del processo Stato-mafia. Su Avola (e Santoro) sono entrati in tackle i pm nisseni.
«L’ex collaboratore di giustizia Maurizio Avola – scrive in una nota il procuratore aggiunto Gabriele Paci – ha tra l’altro affermato di aver partecipato alla fase esecutiva della strage di Via D’Amelio, unitamente a Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Aldo Ercolano ed altri. La circostanza risulta in effetti essere stata riferita per la prima volta da Avola nel corso di un interrogatorio lo scorso anno alla Dda di Caltanissetta, a distanza di oltre venticinque anni dall’inizio della sua collaborazione con l’autorità giudiziaria. I conseguenti accertamenti disposti, finalizzati a vagliare l’attendibilità di dichiarazioni riguardanti una vicenda ancora oggi contrassegnata da misteri e zone grigie, non hanno allo stato trovato alcuna forma di positivo riscontro che ne confermasse la veridicità».
Per «citarne uno, tra i tanti – aggiunge il magistrato-, l’accertata presenza dello stesso Avola in Catania, addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell’ex collaboratore, egli, giunto a Palermo nel pomeriggio del venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all’interno di un’abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la Fiat 126 poi utilizzata come autobomba».
Spatuzza – sempre ritenuto attendibile – contribuì a preparare la strage Borsellino, rubando la 126. Affiliato alla famiglia palermitana di Brancaccio, ha smascherato il falso pentito Scarantino. E ha permesso la revisione del primo processo, scagionando gli innocenti condannati.
Per lui Avola non era presente all’attentato. C’era, invece, un estraneo a Cosa Nostra. Un uomo mai identificato, forse appartenente ai servizi segreti. Avola cerca di confutare quest’ultimo passaggio. Per lui la strage fu «solo mafia». E Santoro gli crede, sfidando tutti.
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