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Il processo internazionale di globalizzazione spinge il dibattito pubblico a orientarsi verso una politica di abbattimento dei muri e di cooperazione tra Stati. Nel secondo dopoguerra l’Europa ha dato avvio a un lento processo di unificazione commerciale e libera circolazione tra Stati, che ha gettato le basi per l’attuale Unione Europea. L’attuale sistema si limita, però, ad occuparsi in modo unitario di aspetti per di più economici e secondari, dettando semplicemente linee guida su tematiche più importanti, lasciando sempre l’ultima parola ai singoli Paesi. Sempre di più, dopo l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina, si sta tentando di iniziare un dialogo su come gli Stati europei – che singolarmente non hanno alcun peso internazionale nei confronti delle superpotenze Cina e Usa –, possano costituire una voce unica su forze armate, politica estera, gestione migratoria o climatica. Di questo abbiamo parlato con Luisa Trumellini, Segretaria nazionale del MFE.
Dottoressa Trumellini, come, quando e perché nasce in Italia e in Europa l’idea di Stati Uniti d’Europa? Crede – anche alla luce degli ultimi avvenimenti – si tratti di un’idea davvero realizzabile in un prossimo futuro?
L’idea degli Stati Uniti d’Europa risale al XIX secolo, in Italia e in Europa. L’espressione è ovviamente legata all’esperienza degli Stati Uniti d’America, anche se l’idea di un’Europa unita è ancora più antica e attraversa gran parte della cultura europea. Tra le due guerre mondiali questo riferimento conosce una forte diffusione, perché la crisi del sistema europeo degli stati nazionali era evidente e drammatica. Solo dopo la Seconda guerra mondiale, però – con la fine della centralità europea a livello mondiale e l’avvio del nuovo sistema internazionale imperniato su USA e Unione Sovietica – l’obiettivo di costruire la Federazione europea diventa concreto e un processo reale può aver inizio. Oggi è più che mai attuale, perché è sempre più evidente come il mondo sia in mano a potenze di dimensione continentale e come gli Stati europei, singolarmente, siano inadeguati. Inoltre resta, come nella prima metà del XX secolo, il pericolo drammatico legato all’emergere del nazionalismo che in un mondo interdipendente come l’attuale porta conflitti e impoverimento.
La Svizzera rappresenta, secondo alcuni e per ironia della sorte, il modello al quale dovrebbe ispirarsi un’eventuale unione politica di Stati, in quanto la stessa riunisce sotto un’unica bandiera comunità diverse. Che vantaggi potrebbero trarre cittadini che parlano lingue diverse e appartengano a diverse culture da uno Stato federale?
Il motto dello Stato federale è proprio quello dell’unità nella diversità. Si tratta di un sistema istituzionale che permette di mantenere più livelli di governo, ognuno dei quali gode di autonomia, anche se nel quadro di una costituzione comune che ne disciplina il coordinamento. Si governano in comune (con poteri effettivi e autonomi, cui corrisponde un sistema di controllo democratico), solo quelle materie che hanno interesse generale (come la moneta, la politica estera e di sicurezza, la macro-economia, il commercio con l’estero), e si lascia agli Stati membri, e anche ai diversi livelli subnazionali, l’autogoverno in quelle materie che invece hanno una dimensione nazionale, o regionale o addirittura locale. È il principio di sussidiarietà che regola l’attribuzione di competenze in base al principio che ogni livello di governo deve farsi carico delle politiche che corrispondono al meglio alla sua dimensione, dal livello locale a quello federale. Questo garantisce la maggiore efficacia nella politica economica, in quella della ricerca, così come nella politica internazionale, e al tempo stesso salvaguarda tutte le peculiarità e differenze di diversa natura che caratterizzano le entità che partecipano alla Federazione. È pertanto un enorme vantaggio sul piano politico ed economico, e anche un valore aggiunto per la democrazia.
Parlando di identità europea, Lei crede davvero che popoli così diversi tra loro riuscirebbero a sviluppare un sentimento collettivo di comunità che vada oltre quella della propria nazione?
Di fatto accade già: l’Unione europea si caratterizza per la condivisione dei valori universali, dello stato di diritto, della libertà, di una modernità che affonda le sue radici nell’Illuminismo; e la pandemia ha anche rimesso al centro il sentimento di una solidarietà europea. Alcuni Stati membri sono divisi circa l’adesione a questi principi e tendono a manifestare un certo euroscetticismo e sicuramente hanno spinte diverse al loro interno in merito alle prospettive del progetto europeo. È chiaro però che l’unione politica, che è il vero traguardo del processo europeo, si farà sulla base di questi valori fondanti, e sul senso di unità dato anche dall’orgoglio condiviso per questo nuovo modello che supera l’angusta dimensione nazionale, allargando l’orbita della democrazia e della solidarietà e aprendo alla libera circolazione e ad un fecondo scambio culturale, senza mai spingere verso l’omologazione o la negazione delle differenze. Di fatto la Federazione europea porterebbe l’affermazione storica di un modello concreto di allargamento dell’orbita della comunità politica democratica statuale oltre la dimensione nazionale.
Il Movimento Federalista Europeo italiano è legato a una più vasta rete internazionale. Com’è organizzata e come agisce? Come funziona l’apparato decisionale del movimento e in che modo è coinvolta e alimentata la partecipazione territoriale?
Il MFE è la sezione italiana dell’Unione dei Federalisti Europei (UEF), che ha sede a Bruxelles ed è composta da 26 sezioni nazionali presenti in quasi tutti i Paesi dell’UE e in alcuni Paesi candidati. Tutte le sezioni sono organizzate su base locale e hanno organi di rappresentanza nazionale. A livello europeo ogni due anni si svolge un Congresso che stabilisce la linea politica generale ed elegge sia l’organo assembleare (il Comitato federale) sia l’organo cui è affidata la gestione (organizzativa, dell’attuazione della linea politica e dell’amministrazione), l’Executive Bureau. Il Congresso elegge anche il Presidente e il Segretario generale, con funzione di dirigenza politica il primo e organizzativa e amministrativa il secondo. In generale, le organizzazioni federaliste sono a-partitiche e composte da volontari, che dedicano il proprio tempo all’attività politica nell’organizzazione a titolo gratuito. Questo modello è stato sviluppato soprattutto in Italia, dove il Movimento federalista è politicamente molto radicato, anche per l’importanza delle figure che lo hanno fondato e fatto crescere (Altiero Spinelli e Mario Albertini in particolare). Abbiamo un centinaio di sezioni e la nostra attività sul territorio, tramite la mobilitazione e il lavoro dei militanti locali, è fondamentale. Le nostre campagne politiche sono coordinate a livello europeo per dare un quadro unitario alla nostra azione che viene così direttamente trasmessa anche all’interno del Parlamento europeo (dove l’UEF ha creato anche un intergruppo federalista che prende il nome di Gruppo Spinelli) – ma sempre in coordinamento con l’attività locale, dove i federalisti trasmettono informazione sul processo di unificazione europea e suscitano mobilitazione anche a livello della società civile, oltre che della classe politica locale.
L’attuale Unione Europea, che si è rivelata in più occasioni non essere nulla più che un’unità economica, dovrebbe compiere enormi passi in avanti nel processo di unificazione. Quali sono gli obiettivi più importanti a corto-medio termine che il Movimento si pone?
Questa Unione europea è frutto di un lungo percorso politico segnato dalla sconfitta del primo tentativo (nella prima metà degli Anni Cinquanta del secolo scorso, con la bocciatura del Trattato per la Comunità europea di difesa che prevedeva anche la nascita di una Comunità politica federale) di arrivare rapidamente alla nascita di un’Unione politica. Per questo si è scelta la via tortuosa della costruzione di un Mercato sempre più integrato, lasciando la politica e la base stessa della legittimità democratica nelle mani degli Stati; l’idea politica rimaneva come punto di riferimento, ma veniva rimandata ad un domani indefinito, quando fossero crollatele resistenze nazionali. Questa scelta è stata confermata anche dopo la fine della Guerra fredda – seguita al collasso dell’Unione sovietica nel 1991 –, nonostante l’avvio della moneta unica. In questo modo la nascita della moneta non è stata accompagnata da una vera unione economica e di bilancio, e da un’unione sociale, rimanendo pertanto indebolita dalla mancanza di questi strumenti fondamentali. Per questo oggi l’UE, che si è allargata sempre nell’ottica di includere nuovi membri nel quadro del suo Mercato unico, si ritrova debole politicamente in un mondo in cui il soft power commerciale (in cui effettivamente l’UE è forte) è sempre meno centrale, e diventa indispensabile costruire una vera capacità di azione politica a livello europeo. Queste mancanze dell’attuale architettura istituzionale europea sono emerse chiaramente nella Conferenza sul futuro dell’Europa per il processo pan europeo di democrazia partecipativa che ha coinvolto i cittadini e i rappresentanti delle istituzioni europee e nazionali nell’ultimo anno. La Conferenza, a partire dalle richieste dei cittadini coinvolti in vari modi, ha formulato delle proposte importanti che vanno nella direzione sia di dare maggiori competenze all’UE, nei settori di interesse comune, sia di rafforzarne la capacità di azione e l’efficacia, dotando il Parlamento europeo di poteri politici molto maggiori (incluso quello di bilancio), e rendendo così l’UE più democratica dato che il Parlamento rappresenta i cittadini dell’Unione; abolendo il diritto di veto che oggi ogni Stato detiene su moltissime materie cruciali, e dando ai cittadini maggiore peso nella formazione delle maggioranze per la formazione della Commissione europea e la scelta del Presidente della Commissione. Come federalisti abbiamo condiviso e sostenuto queste proposte, che ora dovrebbero essere al centro di una Convenzione chiamata a mettere mano alla riforma dei trattati, sulla base di queste idee. Sono decisioni da prendere in queste settimane, per cui il Parlamento europeo si sa battendo in prima persona.
Assemblee cittadine e ruolo del MFE nella Conferenza per il futuro dell’Europa.
Il MFE (nel quadro UEF) ha accompagnato la Conferenza con campagne mirate a sostenere alcune proposte fondamentali di riforma dei Trattati (per la nascita di un bilancio federale, in capo direttamente al Parlamento europeo, e per l’abolizione del diritto di veto, in particolare in materia di bilancio e in politica estera). L’azione è stata sviluppata soprattutto dalle sezioni, capillarmente, a livello locale, e in questo quadro sono state anche concepite mobilitazioni come quella delle 100 assemblee cittadine per un’Europa federale, che si è sviluppata soprattutto nei primi quattro mesi del 2022. Abbiamo attivato numerose assemblee locali in tutta Italia e in varie modalità. Questa mobilitazione sul territorio, l’utilizzo attento della piattaforma digitale e la nostra presenza direttamente nella Conferenza (dove sedeva la Segretaria generale dell’UEF, Anna Echterhoff) ci ha permesso di far emergere con molta forza le nostre proposte, di essere molto ascoltati e di dare un contributo importante in un contesto che – bisogna sottolinearlo – ha valorizzato molto il pensiero federalista.
Ancora una volta emerge, con l’invasione russa dell’Ucraina, la fragilità strutturale dell’attuale Unione, non abbastanza forte e coesa da costituire una voce compatta ed alternativa nello scenario internazionale. Al tempo stesso, la credibilità degli Stati europei come enti in grado di autodeterminarsi rispetto ad altre superpotenze globali, come Usa e Cina, è nulla. Eppure l’UE è la seconda potenza economica globale. Quali passi in avanti sono necessari? Il fatto che gli Stati mettano da parte i propri interessi nazionali per rispondere in modo compatto alla guerra può essere il segno che qualcosa stia realmente cambiando?
Sicuramente la svolta compiuta dall’Unione europea già con la pandemia (con la creazione di uno strumento di debito comune – il Next Generation EU – per sostenere la ripresa degli Stati membri maggiormente colpiti dalla crisi) corrisponde alla presa di coscienza, almeno da parte di alcuni governi e di alcune forze politiche, della necessità di rafforzare la coesione e la capacità di azione a livello europeo, soprattutto a fronte del fatto che gli europei stanno rapidamente perdendo terreno in molti settori cruciali. La guerra ha ovviamente reso ancora più palese l’impotenza europea sul piano della politica estera e della sicurezza, di fatto “appaltate” agli USA. E dato che l’orientamento degli USA non è lineare (si veda la fase di governo di Trump) e comunque cresce, in modo strutturale, la diversità di interessi tra Europa e Stati Uniti, è indispensabile per l’UE conquistare la propria indipendenza e autonomia strategica. Ciò passa dalla creazione di una vera unità politica che avvii la nascita di un governo europeo orientato a fare scelte sulla base dell’interesse collettivo e non semplicemente cercando di armonizzare così tanti interessi nazionali diversi.
Le politiche ambientali, migratorie e di difesa, sono dei punti molto deboli dell’attuale assetto dell’Unione. Quali le proposte del MFE in questo senso?
Sulle politiche ambientali la strategia dell’UE è chiara e ben congeniata: ma come per la politica migratoria e quella della difesa, senza la dimensione della politica estera – che significa possibilità di partnership strategiche sia nel Mediterraneo e in Africa sia in altre aree del mondo, come l’America Latina – la capacità di agire dell’Europa in queste materie resta troppo limitata. Chiaramente, se per la politica ambientale la forza del mercato europeo offre comunque degli spazi di azione, l’impotenza emerge fortissima per la politica migratoria o di difesa. Qui è proprio un problema di competenza che deve essere in capo all’UE e non più agli Stati membri e deve esserlo a partire dalla politica estera.
di Matteo Galasso
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