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Era il luogotenente di un boss, Antonino D’Andò, e fu vittima di una “lupara bianca” non per nascondere l’omicidio ma per mettere in evidenza che quella era la fine che meritavano coloro che, come lui, non si erano allineati ai nuovi assetti di vertice del clan. É quanto ha scoperto la Squadra Mobile di Napoli nell’ambito di indagini, coordinate dalla DDA. Di D’Andò, si sono perse le tracce il 22 febbraio del 2011: era legato al boss Carmine Amato, capo dell’omonimo clan ‘scissionista’. Non vedeva di buon occhio l’ascesa al potere di Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano, capo dell’altra componente degli “scissionisti”. Un omicidio eccellente ricostruito grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Sette le persone ritenute coinvolte – tra mandanti ed esecutori materiali – a cui sono state notificate altrettante misure cautelari. D’Andò finì in una trappola: fu ucciso da un parente della famiglia Pagano durante un finto summit e, secondo quanto si è appreso, poi sciolto nell’acido

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