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Secondo una recente indagine realizzata dall’Istat, sono 292mila le aziende che si trovano in una situazione di seria difficoltà. Attività che danno lavoro a 1,9 milioni di addetti e producono un valore aggiunto che sfiora i 63 miliardi di euro. Il numero medio di addetti per impresa di questa platea di aziende così a rischio chiusura è pari a 6,5. Stiamo parlando di micro attività che, pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria, corrono il pericolo di abbassare definitivamente la saracinesca”.
E’ quanto afferma una nota della CGIA di Mestre sul calo di fatturato e le difficoltà delle attività produttive italiane nel 2020. “I settori produttivi più interessati da queste 292 mila attività sono il tessile, l’abbigliamento, la stampa, i mobili e l’edilizia. Nel settore dei servizi, invece, si distinguono le difficoltà della ristorazione, degli alloggi/ alberghi, del commercio dell’auto e altri comparti come il commercio al dettaglio, il noleggio, i viaggi, il gioco e lo sport.
E’ evidente che non tutti questi operatori economici chiuderanno definitivamente i battenti, tuttavia con lo sblocco dei licenziamenti previsto entro la fine del prossimo mese di marzo, molti degli addetti di queste attività rischiano di trovarsi senza un’occupazione regolare. Dalle stime sull’andamento medio del fatturato 2020 – prosegue la CGIA -, i settori più colpiti dalla pandemia hanno interessato, in particolar modo, il commercio, i servizi alla persona e l’area dell’intrattenimento.
I risultati a cui è giunto l’Ufficio studi della CGIA sono impietosi: per le attività artistiche, palestre, piscine, sale giochi, cinema e teatri si è verificato un calo del 70%. In termini assoluti, la perdita di fatturato più importante ha interessato il commercio all’ingrosso (-44,3 miliardi di euro). Seguono il commercio/riparazione auto e moto (-26,8 miliardi) i bar e i ristoranti (-21,3 miliardi di euro), le attività artistiche, palestre, sale giochi, cinema e teatri (-18,3 miliardi), il commercio al dettaglio (-18,2 miliardi), gli alberghi (-13,9 miliardi), le agenzie di viaggio e i tour operator (-9,3 miliardi)”, conclude la CGIA
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