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Dieci anni dopo l’uscita del suo libro-simbolo, Gomorra, lo scrittore Roberto Saviano in una lunga conversazione con L’Espresso (in edicola da oggi) denuncia: «Chi racconta la realtà viene considerato disfattista. Ieri una comunità mi proteggeva, oggi mi sento totalmente solo.
Ma non mi arrendo alla politica-spot». «Non lasciamo solo Roberto Saviano!». Il primo a gridarlo fu Umberto Eco dopo che l’”Espresso» aveva rivelato le minacce dei casalesi contro il giovane scrittore. Era il 14 ottobre 2006, “Gomorra» era uscito tra aprile e maggio. «Era stato stampato in 4500 copie, a settembre era già a centomila. Ricordo la mail della Mondadori: ‘Roberto, da oggi sei uno scrittore di professionè. Ricordo l’emozione. Ricordo la telefonata maledetta che faccio a mio fratello: ‘Possiamo comprarci la motò. Non l’abbiamo mai ritirata e abbiamo dovuto restituire
l’anticipo. Il giorno del mio compleanno, il 22 settembre, vado a Casal di Principe, accuso Antonio Iovine e Michele Zagaria: ‘Questa non è la vostra terra, andatevene!’. Per loro è una bomba nucleare, non era mai successo. Avevo fottutamente 26 anni», ricorda Saviano.
Sono passati dieci anni dalla pubblicazione di quel libro che ha cambiato il racconto delle mafie e l’interpretazione del rapporto tra letteratura e realtà. E la vita del suo autore. In coincidenza, il 10 maggio parte su Sky la seconda serie della fiction nata da Saviano, un successo internazionale. «Dieci ann in cui – dice lo scrittore – il Sistema si è allargato, ringiovanito. E oggi si confrontano due modi di narrare l’Italia: quello dello storytelling del potere che nasconde le zone oscure e quello che ti costringe a guardare in faccia il male. Renzi mi ha generato dolore quando in Campania ha detto: ‘Non lasciamo che il racconto di questa terra sia solo il set di Gomorrà. Ma quando io faccio questo racconto sto cercando di salvare quella terra. Renzi ripete che si può parlare male di lui ma non dell’Italia: è una frase pericolosa, con echi inevitabilmente autoritari. Se io racconto una cosa che non va, sto facendo male all’Italia o bene? Il Paese coincide con il suo governo? Renzi mi ha trattato come faceva Berlusconi. Far passare i critici per disfattisti è gravissimo. Contrapporre l’Italia del sì a quella del no è un atteggiamento continuo di sfida, perdente».
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