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CASERTA – Si respira quasi più rassegnazione che rabbia allo stabilimento Jabil di Marcianise (Caserta), dove i lavoratori sono in sciopero dopo che l’azienda giovedì ha annunciato il licenziamento collettivo di 190 dipendenti da lunedì 25 maggio; i sindacalisti, non solo quelli dei metalmeccanici ma anche i segretari generali delle Confederazioni locali, sono in prefettura per capire quali spazi hanno per iniziative di mobilitazione e per consegnare una lettera al prefetto da far recapitare probabilmente al Governo. I margini di manovra sono comunque molto ridotti, anche perché i vertici Jabil, manifestando l’intenzione di non voler chiedere il rinnovo della cassa integrazione usata in questi due mesi di pandemia, hanno fatto intendere la loro ferma volontà di porre fine ad una vertenza che si trascina dal giugno 2019, quando fu annunciato l’esubero di 350 addetti a Marcianise su un totale di 700. Da allora 160 dipendenti hanno accettato di andarsene optando per la ricollocazione presso altre aziende con un incentivo di 10mila euro lordi – sono 80mila gli euro che la Jabil dà all’azienda che assume i suoi lavoratori – o per l’esodo volontario con un incentivo di 70mila euro lordi; 190 non hanno accettato nessuno dei due strumenti, e, con la procedura ormai chiusa, l’unico epilogo è ormai il licenziamento. Un epilogo già scritto, «che porta la firma – dice Michele Madonna, lavoratori nonché delegato della Fiom-Cgil – dei massimi dirigenti della Jabil in Italia, ovvero del country manager Italia Clemente Cillo e del responsabile business Emanuele Cavallaro. La gestione Jabil in Italia – prosegue – e si è caratterizzata solo per le acquisizioni e il ricorso costante agli ammortizzatori e agli altri strumenti messi a disposizione dalle normativa italiana, e mai per veri piani industriali e produttivi. Ricordo che in passato la Jabil ha acquisito nel Casertano gli stabilimenti della Siemens, da ultimo quello della Ericsson, e ogni volta che acquisiva e aumentava il personale, ricorreva alla cassa integrazione o alla solidarietà, mai ad un aumento della produzione; già prima delle Cig per la Pandemia, usufruivamo della cassa integrazione straordinaria. Per noi a Marcianise il lavoro non c’è mai stato, eppure la multinazionale americana ha 120 stabilimenti nel mondo con 200mila dipendenti, e, tranne in Italia, realizza ovunque un ottimo fatturato». «Anche le aziende in cui saremmo dovuti essere ricollocati – spiega Gennaro Di Bernardo – hanno progetti industriali poco chiari, molte stanno partendo solo ora con i piani di insediamento nell’area di Marcianise. Non abbiamo accettato la ricollocazione per paura che una volta riassunti, saremmo rimasti al lavoro solo qualche anno per poi trovarsi di fronte il solito problema occupazionale».

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