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CASERTA – Sarebbe stato il malfunzionamento di un depuratore che serve quattro comuni del Casertano a provocare la macchia nera che il sei maggio scorso, appena dopo la fine del lockdown, dal canale Agnena si propagò nel Mar Tirreno nel comune di Castel Volturno, suscitando grande preoccupazione tra la popolazione.
E’ emerso dall’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere, che ha disposto il sequestro d’urgenza del depuratore intercomunale ubicato a Vitulazio, che serve anche altri tre comuni (Pastorano, Bellona e Camigliano) e una popolazione in totale di 18.700 persone; i sigilli sono stati apposti dai carabinieri della stazione forestale e dai militari della Guardia Costiera di Castel Volturno.
La Procura guidata da Maria Antonietta Troncone ha poi iscritto nel registro degli indagati i sindaci dei quattro comuni succedutisi dal 2015 ad oggi, ipotizzando che le acque reflue urbane provenienti dai quattro paesi del Casertano finissero senza trattamento direttamente nel canale Agnena, e quindi nel Tirreno; il fenomeno, fa notare l’’ufficio inquirente, si sarebbe verificato già in quattro circostante (2004, 2012, 2016 e 2019). In una nota, la Procura ha anche precisato che la macchia nera non è stata causata all’illecito smaltimento dei reflui animali da parte un’azienda bufalina di Capua sequestrata a fine giugno sempre nell’ambito dellas medesima indagine.
Ma cosa è accaduto all’Agnena nei primi giorni dello scorso maggio? Lo spiega l’Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale (Ispra), che ha collaborato all’inchiesta, evidenziando come ad inizio maggio, si sarebbe avuta una risalita dell’acqua marina all’interno dell’Agnena, che avrebbe provocato la formazione di un tappo alla foce, “scoppiato» nei giorni seguenti quando la corrente avrebbe riportato a mare quanto accumulato nel canale. Dopo che apparve la «macchia nera», il personale dell’Arpac ha prelevato campioni d’acqua dall’Agnena, verificando la presenza di «escherichia coli» in quantità di gran lunga superiore a quello tollerato; dalla successiva analisi molecolare, effettuata dai tecnici dell’Istituto zoo profilattico di Portici, è poi emersa una prevalente presenza del Dna umano più che animale. L’esito cui sono approdati gli inquirenti, è che dunque la macchia nera del 6 maggio scorso era dovuta a inquinamento di origina umana.
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