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Donne che hanno scritto la storia della poesia, donne che hanno sopportato la vita solo attraverso i versi, donne che sono state ingiustamente dimenticate nonostante la poesia. Sono ventiquattro in totale i brevi ma significativi ritratti stilati dal critico e poeta Nicola Vacca nel suo ultimo lavoro Muse nascoste (Galaad Edizioni), un libro che non solo vuole rendere omaggio, ma anche concedere il giusto tributo a profili di donne straordinarie che il Novecento inspiegabilmente ha appannato. Vacca narra di poetesse come: Cristina Campo, Alejandra Pizarnik, Marina Cvetaeva, Sylvia Plath, ma contemporaneamente fa scoprire ai lettori meno esperti la poesia infernale di Claudia Ruggeri, la materia viva dei versi di Piera Oppezzo, la scrittura introspettiva di Paola Malavasi, solo per citarne alcune.
Quale motivazione l’ha spinta a svelare le Muse nascoste?
Questo libro fa parte di un lavoro critico che da anni sto facendo sulla letteratura del Novecento. Dopo aver passato in rassegna nei saggi precedenti scrittori e correnti del secolo scorso, ho deciso di dedicare un intero volume alle voci femminili della poesia.
George Orwell parlando della sua scrittura affermò che essa veniva fuori da un demone al quale non si può opporre resistenza. I poeti rispetto agli scrittori di prosa sono quelli che hanno maggiore intimità con questo demone a cui danno il nome di Musa. Cosa accomuna le muse di questa raccolta, così diverse fra loro per collocazione geografica e contesto storico?
Le muse del mio libro sono accomunate dall’inquietudine, dal disagio. Le potesse che ho deciso di inserire in questo libro sono prima di tutto voci dissonanti che hanno vissuto in disarmonia con la loro epoca. Ancora una volta il mio sguardo critico si rivolge agli irregolari e agli inattuali. A quel grande Novecento che mi manca e al quale bisognerebbe tornare.
L’aggettivo nascosto è riferito al fatto che la maggior parte delle poetesse presentate siano poco conosciute al grande pubblico o contiene un’ulteriore connotazione?
Perché donne e perché poetesse. Talvolta oscurate dalle mode, dal mainstream culturale, dalle ideologie, dai pregiudizi, altre volte dimenticate dopo una breve ed episodica visibilità o mai giunte alla ribalta. Ma anche perché, in un volontario quanto sofferto distanziamento dal presente, si sono autoesiliate nella lingua, trovando lì un proprio universo, una stanza tutta per sé.
La poesia può essere considerata anche un mezzo di riscatto per le donne, messe troppo spesso a tacere come accadde per Anne Sexton, poetessa della Rivoluzione sessuale americana?
Anne Sexton, Sylvia Plath, ma anche Marina Cvetaeva, insieme a tutte le altre muse nascoste hanno scritto versi anche per cercare un riscatto, ma soprattutto per far sentire la loro voce libera, che non sempre era compresa per quella autenticità anticonformista che esprimeva. Attraverso la poesia hanno espresso la rivolta in cui essere e scrivere coincidono.
Il suicidio è troppo spesso scelta di numerosi poeti che non riescono, neanche con le parole, a colmare i vuoti della loro esistenza così come si può leggere nella biografia di Nadia Campana, mentre per altri è proprio l’esercizio della parola che spalanca spiragli verso la vita. Lei da poeta come spiega questa dicotomia?
Non esiste una spiegazione logica a questo. A fare la differenza è il concetto di poesia come esperienza. In questo libro sono molte le potesse che non sono riuscite con le parole a colmare i vuoti della lo esistenza. E sono tutte voci altissime con un tragico bagaglio di esperienza. Un’esperienza da cui passa la grande letteratura.
L’ultima musa di cui ci parla nella raccolta è Giorgia de Cousandier compagna di Leonardo Sinisgalli nonché amica di Giuseppe Ungaretti, che viene da lei raccontato come l’eterno giovane pieno di entusiasmo e di meraviglia. Sinisgalli nel testo Vidi le muse recita: «Vidi le Muse su una quercia / Secolare che gracchiavano. / Meravigliato il mio cuore / Chiesi al mio cuore meravigliato / Io dissi al mio cuore la meraviglia». Ritornando alla seconda domanda, è forse la meraviglia il demone dei poeti?
Una meraviglia che nasce da un’osservazione concreta e fisica delle cose, quindi anche dal disincanto. Non esiste il poeta senza i suoi demoni, non esiste poesia senza uno sguardo di stupore. Muse nascoste mi piace pensarlo come un percorso culturale e morale che mi ha permesso di scrivere sull’inquietudine di donne che attraverso la poesia hanno guardato in faccia i loro demoni con la meraviglia assoluta della parola.
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