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Del dolore si è detto. Almeno quel poco che è riuscito a sfidare l’indicibile. Della vergogna no. La “vergogna del terremoto” è un sentimento che non è stato ancora indagato, ma è qualcosa che la generazione Zamberletti – la mia – sia pure ricacciata in qualche angolo buio, si porta dentro da quarant’anni. Per vergogna intendo quel sentimento che la vittima, pur essendo incolpevole dello stato in cui si trova, prova di fronte all’altro ritenuto sano rispetto al sé pieno di crepe. C’è una generazione di “lesionati” in giro per il mondo perché in Irpinia sono rimasti in pochi. In quelle crepe ognuno ha fatto entrare quello che ha potuto: lo studio per il riscatto in molti ha ricacciato il vuoto, in altri si è fatto largo ogni tipo di veleno. Erano gli anni Ottanta, del resto, e la droga correva facile.
Terremotato non significò più “colui che ha subito una calamità naturale” e per questo è ancor più degno di rispetto: divenne sottilmente e inconfessabilmente un marchio. Non un accidente passeggero, ma una condizione durevole, quasi identificativa. Alla vergogna del terremoto si aggiunse quella dell’infamia di non essere capaci di ricostruire, della corruzione, degli sprechi: eravamo i peggiori. E pur negli anni dell’edonismo reganiano, ai bambini che diventavano ragazzi non fu data nessuna visione o sentimento del futuro da chi avrebbe dovuto disegnare almeno uno scenario.
La generazione Zamberletti non inaugurò gli Ottanta con i piumini dei paninari, ma con quelli donati dai soccorritori: quel “marchio” lo si portava letteralmente addosso.
Fare i compiti nel prefabbricato, sullo stesso tavolo del pranzo, giocare nelle non-strade tra i vari blocchi abitativi, uscire con i compagni di scuola e ritirarsi nei cubi di lamiera – dove poi iniziò a piovere – tolse due volte la dignità. E il lutto: quanto è costato ai bambini di allora vedere le madri e le nonne piangere i morti con la disperazione di chi sa che potevano essere salvati? Quanto sono invecchiati sotto il peso delle macerie simboliche e delle colpe altrui? Del sisma è stato calcolato quasi tutto: dalla distruzione alla ricostruzione, dagli sprechi alle tangenti. Ma una cosa non è stata ancora quantizzata: il danno immateriale di questo “squorno”.
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