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Non so che cosa accadrà dopo il 26 aprile. La data della ripartenza è ammantata di forte auspicio. Non si può non notare la vicinanza al giorno successivo alla Liberazione del nostro Paese dal nazifascismo: quel 25 aprile del 1945.  Altri tempi,  altre storie scritte nel lungo percorso per la conquista della democrazia italiana. Ho percepito nel discorso del premier Mario Draghi, fatto per annunciare le misure per la ripresa, grande responsabilità, sia pure con la necessaria cautela. Parole asciutte le sue, senza fronzoli, espresse con il linguaggio educato e civile che denotano lo stile dello statista. Dei contenuti espressi nel corso della conferenza stampa si è detto molto e di più. Anche le prefiche hanno dovuto smettere di versare ipocrite lacrime. Il nodo centrale del ragionamento del premier è la crescita economica del Paese. Tutto gira intorno a  essa.

L’economia che si rimette in moto, l’occupazione che torna a essere valore dell’impresa, innnovazione e digitalizzazione intese come sfida per il futuro. Dei giovani, soprattutto. Ciò è possibile, sostiene Draghi, se al desiderio di ripartenza si accompagna un grande senso di responsabilità della comunità. Vale a dire che il “liberi tutti” non può essere inteso come una fuga in avanti di chi ritiene che il pericolo pandemico sia ormai superato. Occorrono prudenza e responsabilità dei comportamenti. Non è affatto inutile ricordare che l’uso della mascherina, la cura dell’igiene, insieme al distanziamento tra persone restano regole imprescindibili per frenare contagi e morti. Si cresce nella responsabilità, altrimenti si ritorna nel baratro. Per dirla in breve, pur sembrando ossessivi, si cresce e si vince se si evitano gli eccessi. 


Questa delicata partita si gioca in particolare nel Mezzogiorno d’Italia in cui la condizione sanitaria è particolarmente arretrata. Vero è che con l’avvento di Draghi, il Mezzogiorno ha acquisito uno spazio rilevante nel dibattito infrastrutturale.

Basti pensare alla grande attenzione con cui la neo ministro per il Sud, la salernitana Mara Carfagna, sta sollecitando maggiori risorse per le aree meridionali, riuscendo a portare al 40% , con possibilità di incremento, la quota delle risorse europee del Recovery destinate al Mezzogiorno. 
E su questo, purtroppo, s’innesta una polemica dal sapore tipicamente “casareccio” messa su dal vice capogruppo del Pd, Piero De Luca, figlio del governatore della Campania Vincenzo, che ritiene traditi gli impegni assunti dai precedenti governi a favore del Mezzogiorno. 


Probabilmente la polemica fa storcere il naso al premier Draghi e al suo stile di guida dell’esecutivo. In realtà, in più di una occasione, il premier ha sottolineato come il riscatto del Mezzogiorno passi attraverso una migliore qualità di spesa delle risorse destinate al Sud e a un diverso ruolo della classe dirigente meridionale. Ed è proprio su questo che la sfida per il Sud deve trovare nuova linfa. In realtà il problema delle risorse sotto il Garigliano è antico. Come lo è, sin dalla nascita dell’Europa, la capacità di spesa, oltre che la qualità. La dimostrazione è nel relativo impiego dei fondi europei destinati al  Sud. Essi non vengono utilizzati per mancanza di progetti da parte delle amministrazioni territoriali e vengono restituiti all’Europa che li redistribuisce tra gli altri Stati. A ciò si aggiunge la furbizia stracciona dei governatori delle regioni meridionali con quella che viene definita l’accelerazione della spesa con progetti di dubbio obiettivo di sviluppo. C’è stato un tempo – e c’è ancora –  in cui i Comuni per utilizzare i fondi europei non spesi hanno redatto un’improbabile quantità progetti per la realizzazione di rotatorie stradali. D’altra parte gli stessi fondi utilizzati sono stati destinati ad opere di dubbio valore infrastrutturale. Draghi questo lo sa bene ed è per questo che ha chiesto una svolta nella gestione delle amministrazioni locali. L’altro nodo riguarda la classe dirigente. Come ampiamente abbiamo dimostrato anche con le inchieste del nostro confratello “L’Altra Voce” non è solo la percentuale promessa degli investimenti per il Sud a fare la differenza, quanto invece quale parte di quella percentuale viene realmente erogata al Mezzogiorno. 
               


Tralasciando, per ora, gli argomenti principe dell’arretratezza meridionale quali il clientelismo e la questione morale (sul ruolo dei poteri criminali nel Sud abbiamo da tempo lanciato il nostro allarme) la governance meridionale è un altro aspetto su cui si gioca la credibilità della istituzioni. Personalmente dopo la riconferma democratica di Vincenzo De Luca alla guida della Regione Campania mi ero ripromesso di non rivolgere più lo sguardo, se non per un generale interesse delle iniziative regionali, alla figura così simpaticamente emulata da Crozza nelle sue incursioni televisive. Tuttavia le ultime prese di posizione del governatore De Luca da un lato mi intristiscono, dall’altro mi preoccupano per il modo in cui le istituzioni e le realtà democratiche operanti vengono molestate. 
Prima considerazione. Mettersi dietro un microfono lanciando improperi contro tutto e tutti è semplicemente dimostrazione di un potere arrogante. Evitare  il dialogo e sostituirlo con  il monologo è atto di superbia, non avendo contraddittori.
 Seconda considerazione. La gestione della sanità in Campania è, come i dati dimostrano, fallimentare. Salvando l’impegno straordinario di medici, infermieri e personale ausiliario, i vertici aziendali sono per volontà del governatore. Non si dimentichi che per quasi il sessanta per cento il bilancio regionale fa riferimento alla sanità o suoi derivati. Per cui anche le prese di posizione contro Draghi sembrano essere una fuga in avanti. 


Terza considerazione. Il linguaggio del governatore De Luca offende le istituzione democratiche. Affermare con volgari espressioni che “Siamo al limite della delinquenza politica”  senza specificarne il perché è una forma esecrabile di  populismo aizza masse. 
Un’altra espressione dal sapore intimidatorio riguarda l’informazione e l’invito a non leggere i giornali. Perché, afferma De Luca, “l’informazione  che vi arriva da me è un’informazione fondata sulla verità”. (Naturalmente la sua verità).
  Dopo aver ascoltato le sue parole, il pensiero è andato allo stile di Draghi, al suo eloquio, al rispetto per gli altri. Dal confronto deduco che il Paese sta veramente cambiando passo, abbattendo una vecchia politica che lancia sassi nel mucchio nel tentativo di esimersi dalle proprie responsabilità, in questi speriamo ultimi sprazzi di clientelismo, familismo e populismo.

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