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Il prossimo 10 giugno, mercoledì, Gianluca Festa, compie un anno del suo mandato. Il bilancio è amaro. Delle promesse fatte in campagna elettorale non v’è più traccia. Resta il suo eterno sorriso stampato sul viso, la simpatia umana che trasmette con stile ed eleganza insieme alla non comune capacità di saper prendere per i fondelli coloro che lo avvicinano per rivendicare qualche problema. E’ un uomo solo al comando dotato di una grande furbizia nel gestire la comunicazione che egli utilizza per parlare alla pancia delle persone, modellandosi come personaggio rassicurante, ma solo a parole. Non è affatto un neofita della macchina amministrativa: è stato vice sindaco nel governo di Pino Galasso e da allora ha costruito una rete compiacente, utile per la scalata a primo cittadino. Le sortite come amministratore risentono di un pizzico di follia che nasconde una razionalità pericolosa.
C’è forse qualcuno che ha compreso perchè dopo decenni di attività ha cancellato il mercato settimanale in città per trasferirlo laddove per anni sono state depositate le ecoballe dei rifiuti? E ancora. Il terminal dei bus imposto laddove c’era il mercato, senza un minimo di servizi civili, ha una motivazione? Queste sono quisquilie, avrebbe detto Totò per il quale il sindaco di Avellino sarebbe stato un’ottima spalla. Intanto la città sprofonda nel degrado. Intorno agli alberi è cresciuta una boscaglia che per un Verde come Festa è da condannare senza esitazione. Le strade presentano pericolosi crateri che danno ossigeno ad un contenzioso che mortifica le già esamini casse comunali in preda al dissesto finanziario. Non scrivo delle grandi opere e dei cantieri aperti. Sarebbe come snocciolare i grani di un rosario. Centro autistico, Dogana, tunnel, piazza Castello ecc. Per non dire poi della burocrazia infetta che lo circonda e della quale non è riuscito a liberarsi. Fin qui il sindaco di Avellino che, il solo nella storia civile della città, è riuscito a mettere alla berlina una comunità che, invece, merita grande rispetto.
Non torno sulla vicenda movida per evitare di fare arrossire di vergogna anche le persone più prudenti e accorte. In mezzo c’è il rispetto dovuto alle Istituzioni, la volgarità dei cori da stadio, l’ostinazione a difendersi laddove poteva essere sufficiente un gesto di umiltà chiedendo scusa all’intera comunità e riacquistare credibilità. Sul banco degli imputati insieme a Festa, da un anno al governo della città, devono trovare posto diversi altri personaggi che hanno testimoniato una complicità consapevole. Intanto il |commissario del Pd. Non ha mai sconfessato il primo cittadino. Anzi. Non si è mai impegnato a chiedere se davvero Festa è espressione del partito di via Tagliamento o altro. Visto che nei momenti di difficoltà il primo cittadino si dichiara Verde, espressione di nessun partito o etichette che gli tornano più comode secondo le circostanze. Una volta esisteva la figura del segretario cittadino che faceva da filtro tra le istanze della comunità e il governo della città. Figura oggi morta e seppellita. Peraltro legata all’indizione di un congresso che diventa sempre più una chimera. E poi sul banco degli imputati c’è una opposizione frastagliata, parolaia e inconcludente. Spesso si comporta come le oche capitoline. Il sindaco fra le priorità dichiarate aveva anche indicato il ruolo che la città avrebbe avuto con il suo governo: essere il riferimento di tutta la provincia.
I fatti smentiscono quel suo dire. Molti Comuni irpini sono anni luce più avanti del capoluogo. Come per i Piani sociali di zona. Atripalda, Teora avanzano speditamente. Avellino, il Piano di Zona, è fermo. Perché? Mistero del protagonismo. La crisi dalla quale stiamo uscendo ci ha fatto capire, tra le tante cose, che la questione ambiente, vivibilità, solidarietà sono il fondamento per affrontare e superare i disagi. Questi valori Avellino li sta smarrendo e pure in malo modo. Dopo un anno ci ritorna in mente l’intensa canzone di Mina: parole, parole, parole. Da oggi non ci sono più alibi per ridefinire l’identità della città. C’è bisogno di una “patto” d’onore per un’alba nuova fra Istituzioni e comunità.
Basta bravate, capricci, esasperato protagonismo. La città di Dorso, Muscetta di tanti onesti lavoratori, torni a splendere con le sue qualità positive, con l’esaltazione vera della questione morale. Se, invece, indipendentemente dal piano regolatore che verrà, degli appalti che si faranno, degli appetiti che matureranno, la svolta non ci sarà, sia il primo cittadino a prenderne atto e ad agire di conseguenza. Senza rancore, ma per amore della mia città.
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