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Da alcuni mesi registro una grande attenzione per lo sviluppo delle zone interne della Campania e dell’Irpinia in particolare. Recentemente anche la Conferenza episcopale campana si è interessata al problema. Un documento dei vescovi delle diocesi delle aree interne ha lanciato un forte allarme per lo spopolamento e l’isolamento che sono, tra gli altri, i problemi che destano grandissima preoccupazione. Alla questione dello sviluppo delle zone interne si è interessato anche il presidente della Commissione agricoltura della Regione Campania con una lettera-proposta indirizzata al governatore De Luca. Se non ho compreso male l’on. Petracca chiede di promuovere insediamenti a scopo abitativo per le zone montane, finalizzati allo sviluppo del territorio. Il che a me pare contraddittorio con quanto affermato dai vescovi. Delle due l’una: se c’è spopolamento è evidente che le abitazioni sono vuote. E allora perchè costruirne altre? Ovviamente Petracca può meglio spiegare il suo intento, se lo vuole, precisando anche il motivo per cui egli si rivolge al governatore De Luca che nelle zone interne si è visto solo per tagliare nastri, in occasione di iniziative di poco conto.
Anche la Lega, difficile a credersi, l’altro giorno ha dedicato nel Sannio un approfondimento alla crisi delle aree interne con balbettii inconcludenti e scarsa conoscenza del problema. Ma si capisce: la campagna elettorale per le regionali è vicina.
Qualche elemento di novità positiva viene da Lioni, dove, probabilmente per legami di radice familiare (e forse con lo zampino della presidente del consiglio regionale Rosa D’Amelio), Paolo Scudieri, imprenditore di Ottaviano e potente manager dell’Adler Group, intende dare una svolta alla mobilità con l’ambizioso progetto “Borgo 4.0” con l’auto che, come egli ha affermato, “cambierà la vita della gente”. Per ora sono solo parole.
Dopo non poche difficoltà sembra rimettersi in moto anche il Progetto pilota per l’Alta Irpinia che interessa ben 65.000 persone residenti nei 25 Comuni che interessano un’ area vasta. Fino ad ora è prevalsa la logica di campanile condita con litigi e capricci. Peraltro discussioni prive di senso pratico perchè i fondi promessi non erano mai stati erogati dalla Regione. Ora il progetto, approvato all’unanimità, può rimettersi in moto dopo che sono stati erogati 200 milioni di euro con obiettivi che interessano in particolare l’attività monumentale, soprattutto di tipo religioso, il patrimonio archeologico, il rilancio dell’artigianato e la riorganizzazione dell’agricoltura nel triangolo che comprende l’Ofanto, Montella e Caposele. Si aggiunge a questo l’azienda forestale di cui già abbiamo scritto in altre occasioni. Dove il progetto è carente è sul problema scuola, più volte sollevato, con grida di allarme, dal preside Gerardo Vespucci, ostinato difensore dell’Alta Irpinia.
Come per le precedenti iniziative si resta in attesa dei fatti, considerato che di progetti per lo sviluppo delle zone interne sono piene le fosse. Ovviamente in questa analisi della situazione tralascio alcune iniziative, specificatamente locali, che potrebbero essere riassorbite in un disegno strategico di più ampia portata. Aggiungo che farà parte di un ulteriore intervento il problema dell’Alta capacità con la realizzazione della piattaforma logistica del territorio dell’Ufita la cui complessità merita decisamente un maggiore approfondimento. Anche qui, però, sia pure a vol d’uccello, a me sembra che i tempi sono lontani e, comunque, legati anche alle vicende politiche e ai futuri assetti del governo del Paese.
A mio avviso questo tornare a riscoprire il problema delle zone interne dipende da alcune motivazioni che, sia pure marginalmente hanno a che fare con l’epidemia del coronavirus che è stata determinante nella riscoperta dell’ambiente sano e ha dato grande valore alle innovazioni tecnologiche, sino ad ora poco considerate.
Si tratta di cogliere le opportunità che i fondi stanziati possono rendere concrete. Penso, ad esempio, alla sanità e alle risorse europee destinate a questo settore con la realizzazione di una rete che sia in grado di assicurare una puntuale sanità territoriale e a centri di alta specializzazione, o al problema dell’accoglienza che deve fare riferimento a strutture adeguate e a servizi per comunità medio-vaste. E ancora. Favorire il ritorno dei giovani nell’agricoltura, fenomeno che è stato attivato in molte parti del Paese con risultati significativi. Di più. Rendere economicamente produttiva la filiera del vino che risente di piccoli egoismi che non portano da nessuna parte. Per fare questo, e tanto altro ancora, occorre però un disegno strategico di rilievo epocale. Ben sapendo che le opportunità da cogliere hanno come obiettivo una valutazione sul caso emigrazione il cui dramma deve essere capovolto: non andare via per disperazione, ma ritornare alla radice, con le competenze acquisite, in un ambiente ancora sano, inteso come attrattore di risorse per creare lavoro. Il cambio di mentalità, la svolta culturale, il ruolo della classe dirigente non opportunista sono le armi con cui la battaglia può essere affrontata spero con esiti positivi.
Il pensiero, però, che si riparli delle zone interne solo per motivi elettorali e conseguente possibilità di estendere il potere clientelare mi rattrista e diventa in me causa di angoscia.
Di sviluppo delle zone interne si discute sin dal dopoguerra. A metà degli anni Sessanta le maggiori forze politiche in Irpinia dedicarono grande attenzione alla questione. Allora nacque il Progetto speciale 21, così definito per la realizzazione di importanti infrastrutture. Esse avevano come obiettivo la rottura dell’isolamento. Ricordo uno dei primi convegni che si svolse negli anni Settanta ad Ariano Irpino in cui si teorizzò che senza creare una componente di reddito industriale sarebbe stato difficile uscire dall’isolamento. Presidente della giunta regionale era allora Nicola Mancino, a spingere il progetto fu Salverino De Vito. L’Irpinia tenne testa all’area metropolitana ponendo la questione della penalizzazione delle aree interne rispetto alle zone costiere. Poi i compromessi, le mediazioni al ribasso, hanno vanificato quella significativa stagione, e oggi sulle aree interne rimane l’effetto notte. Il Progetto 21 poi si trasformò in Progetto per le aree interne che faceva leva sulla direttrice di sviluppo Caianiello- Grottaminarda-Lioni-Calitri. Anche qui quasi mezzo secolo dopo quel progetto si è fermato ai ponti sospesi tra Grottaminarda e Lioni, mentre in molti nel tempo si sono cuciti al petto la medaglia della soluzione del problema. Che, invece, resta irrisolto vergognosamente.
Avrei ancora tanto da raccontare e delusioni da consegnare. Guardo al futuro: le cose da fare sono tante e importanti per lo sviluppo delle aree interne. Anche gli ostacoli non mancano. Si può rimediare ponendo fine alla confusione attuale. Si può fare, si deve fare. I soggetti in campo abbandonino il provincialismo deleterio e si uniscano per un progetto strategico di respiro centro-meridionale. Altrimenti se muore l’Alta Irpinia e con essa le zone interne muore anche il futuro della nostra terra .
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