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Io c’ero. E nei luoghi della paura, delle lacrime e della rabbia vi rimasi per più di due mesi. Scavando tra le macerie, recuperando corpi imbiancati, senza più vita, aiutando i militari a calare le vittime nelle fosse, una dietro l’altra, avvolte nelle bianche lenzuola, perché anche le bare arrivarono in ritardo. Ero con Pertini a piazza San Rocco a Lioni, quando egli pronunciò la sua dura invettiva contro i responsabili dei ritardi. Quanti ricordi. Con Zamberletti (“Il generale terremoto”) più volte sorvolai le zone del cratere, quei paesi sbriciolati che trasmettevano un’angoscia infinita. C’ero, ci sono tornato più volte in questi trentasei anni per raccontare il miracolo di un popolo di antica civiltà contadina che ha scelto di dialogare con la vita, smentendo i titoloni dei giornali che narravano di una speranza morta. No, l’Irpinia è risorta, anche se quei terribili novanta secondi hanno segnato uno spartiacque fra il prima e il dopo. Errori tanti. Dal fenomeno della moltiplicazione degli studi tecnici, alle clientele della malapolitica, per finire ai processi sul cemento assassino. Ma l’Irpiniagate no. Questa è stata in parte solo un’immonda speculazione, per lo più leghista e nordista e della politica degli intrighi, organizzata contro chi, irpino, in quei giorni aveva le leve del potere del Paese nelle mani. Vecchie storie. Oggi l’Irpinia è sulla via della rinascita. Il percorso che ha davanti deve essere quello di uno sviluppo dei fatti, della sicurezza degli edifici non ancora antisismici, della restituzione del maltolto ad un popolo che non dimentica quel dolore, pur cancellando le offese.
Gianni Festa
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