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Coronavirus, sale il numero dei morti e delle persone contagiate e ricoverate, tra notizie allarmanti e altre volte rassicuranti. In ogni caso, bisogna fare i conti con epidemie-pandemie come questa. E’ importante conoscerle, per prevenirle e combatterle. Ne abbiamo parlato con il dottore Nicola Acone, specialista in malattie infettive e già primario del Moscati di Avellino.
Dottore, siamo a 1875 morti…
«Non è tanto il numero. Io partirei dalla Cina, un miliardo di persone che seguono norme igieniche molto carenti. Il contagio è del tutto naturale, ma da qualche giorno si è avuta una stabilizzazione. Quel che mi meraviglia è che l’organizzazione mondiale della sanità sia stata un po’ contraddittoria, avendo allarmato più della gravità stessa: tutte le epidemie iniziano, esplodono e poi raggiungono una stabilizzazione per poi scemare».
Fino ad ora è stata esclusa la pandemia, ora il rischio viene paventato…
«Allora, quando parliamo di epidemia è interessata una sola zona, è pandemia quando interessa più aree. In questo caso possiamo parlare di vera e propria pandemia. Più volte ho detto che stavamo a cavallo fra un’epidemia e un possibile inizio di pandemia. Se osserviamo bene, tutti i casi sono di importazione, tutti quanti hanno contratto la malattia in Cina e poi sono rientrati nei loro paesi. Ma tutte queste persone alla fine guariscono».
Ecco perché poi in Italia, o in America, non muoiono.
«Ragioniamo: in Cina hanno costruito un ospedale in sei giorni; non è una notizia vera, perché hanno fatto delle baracche, in tv si vedono degli stanzoni con 20/30 persone. Aggiungo che non si muore solo di coronavirus. Ci sono altre malattie trasmissibili, e stare in stanzoni come quelli tra persone immunodepresse, è facile capire quali possano essere le conseguenze.
Lo Spallanzani di Roma è un grandissimo istituto, che per la quasi totalità dell’anno o degli anni, è praticamente vuoto, fanno solo ricerca e poi altre attività di prevenzione. Come infettivologo lo so bene perché conosco tutti quelli che ci lavorano. I costi sono altissimi, però quando è il momento noi ci ritroviamo davanti a grandissimi istituti, questo o anche l’ospedale Sacco di Milano che fanno fronte a qualsiasi emergenza. In Cina non è così, non c’è un sistema sanitario nazionale, tant’è vero che quel ritardo di circa un mese, ha fatto sì che esplodesse l’epidemia. Se fossimo stati avvisati prima, probabilmente avremmo avuto la metà dei morti e la metà dei contagiati in Cina. Però, ripeto, tutti i casi che si sono avuti in Europa, in America, in tutti gli altri paesi sono tutti d’importazione».
Che significa, allora?
«Che il virus per ora, per esempio in Italia, non circola, ma circola solo all’interno dell’Istituto Spallanzani il quale ha tutte le camere a pressione negativa dove il virus è là, resta in quella stanza, viene fatto uscire tramite dei filtri quando va all’esterno».
Ma cosa provoca il virus?
«I coronavirus sono di un genere di origine animale. Il problema della Cina è che hanno quei cosiddetti mercati umidi o bagnati, dove vengono macellati gli animali tutti insieme, dunque c’è la possibilità che si crei il passaggio di questi virus dall’animale all’uomo, poi da uomo a uomo».
C’erano stati precedenti in Cina?
«Loro circa un mese prima hanno avuto i primi casi, hanno capito che era un virus nuovo che dava problemi respiratori ed assomigliava molto a quello della sars del 2002/2003, e che era molto più pericoloso. Ci furono molti casi mortali, il 9.2%, quindi tanta roba. Però poiché esaurì la sua attività in tempi tutto sommato brevi per un’epidemia, il vaccino non fu fatto per la sars. Questo è stato un danno non indifferente per la comunità mondiale perché oggi ci saremmo trovati un vaccino, certo non adatto a questo virus, però già in fase avanzata perché l’85% del codice genetico è simile a quello della sars».
Quanto tempo ci vorrà per sintetizzare il vaccino?
«Probabilmente salteranno dei passaggi, la sperimentazione sugli animali sarà più breve, secondo me passeranno all’uomo in tempi brevi. Credo che, tutto sommato, in 7/8 mesi, massimo un anno, avremo il vaccino perché conosciamo il virus, è stato isolato, quindi se ne possono produrre altri per sperimentare, e per inoculare il vaccino negli animali. E si dica che il percorso è molto facilitato soprattutto grazie alla scoperta italiana fatta allo Spallanzani».
Ecco, che valore ha?
«Un altissimo valore, su quello si può studiare il virus, sia per i medicinali, sia per fabbricare un vaccino. In Cina hanno preso il siero di un ammalato, l’hanno filtrato, hanno ricavato gli anticorpi e li hanno iniettati in un’altra persona, che poi è guarita. Però ci sono anche altri farmaci come la clorochina, un antivirale utilizzato per altre patologie, oppure farmaci che noi utilizziamo per l’HIV, che comunque ha un effetto. Diciamo che i tempi saranno brevi per mettere a punto sia i farmaci sia il vaccino».
Se il virus arriva in Africa dove la condizione igienico- sanitaria è quasi inesistente, cosa può accadere?
«Può accadere che non sapremo mai quante persone siano state infettate, quante ne muoiono e che diffusione potrebbe avere. Purtroppo l’Africa è l’Africa. Ricordiamo che Ebola fa ancora morti».
Che rischio c’è per l’Italia in questa fase di trasmigrazione?
«Auguriamoci che questo virus sia solo un fatto sporadico, perchè non so quanti cinesi vanno in Africa oggi: il problema è proprio questo, cioé quante persone dalla Cina possono portare la malattia in Africa. Poi dico, sì la Cina, perché è il posto dove ci sono più casi, ma può essere anche un italiano che dalla Cina può portarlo in Africa. Secondo me l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe alzare molto il livello di attenzione, più di quanto non sia stato alzato in tutta Europa».
Noi siamo sostanzialmente un paese di immigrazione, arriva di tutto, come si fa a controllare?
«Tutto sommato, a differenza di tante altre situazioni, l’Italia alla fine sull’immigrazione qualche filtro l’ha attivato. Mi spiego: quando gli immigrati arrivano in Italia vengono sottoposti a visita, sicuramente oggi viene misurata anche la febbre. Certo, bisogna mettere in moto strutture che filtrino meglio i nuovi arrivi, ci vuole poco per attrezzarsi: è vero che è una malattia che si trasmette per via aerea, ma con la mascherina e la successiva visita rimandiamo molto la possibilità di contagio, anche se dobbiamo mettere in conto che può essere un fatto possibile».
Anche perché la popolazione africana è sterminata…
«Sì, ma soprattutto è lasciata a se stessa, e quindi non ha nemmeno idea di che cosa sia attrezzarsi da un punto di vista igienico sanitario».
Fame, guerre…
«Fame, guerre, persone che vivono tutte insieme, pensiamo solamente a tutte quelle strutture in Libia dove sono accampati con poco acqua, dove non c’è la possibilità neanche di lavarsi. Certamente l’occidente ha colpe gravissime, li abbiamo depredati di tutto e di più ed oggi facciamo pure i filosofi. Insomma, questa è una tragedia, eppure loro hanno ricchezze sterminate di cui abbiamo goduto e ne godiamo ancora. Se una piccola parte la destinassimo là faremmo una cosa buona, per loro e per noi».
Questo potrebbe rientrare nel tentativo di bloccare l’immigrazione, aiutandoli nella loro terra?
«Sarebbe la soluzione migliore, perché chi viene qua non è che trova una situazione splendida. Certo, rispetto a dove vivono quello che offre l’Italia non è male, ma secondo me prima o poi va risolto così, cioè nei posti dove vivono. E’ un fatto inevitabile, il mondo si è globalizzato ed abbiamo globalizzato anche le malattie, non c’è niente da fare. Tenere chiuso un virus è impensabile, non parlarne, come si fa al contrario per il clima, mi lascia molto perplesso, finanche a me che sono un infettivologo: coronavirus, sars, mers, non voglia mai Dio che arrivi l‘aviaria. E’ una evenienza che noi infettivologi, purtroppo, facendo i dovuti scongiuri, aspettiamo da una decina di anni. Fortunatamente il virus dell’aviaria non ha fatto ancora il passaggio uomo-uomo, ma animale-uomo sì, tant’è vero che si è avuto un mese fa un piccolissimo focolaio sempre in Cina. Forse pure la Cina dovrebbe modificare il suo modo di vivere da un punto di vista igienico sanitario, che è all’età della pietra».
Qualcuno dice che sostanzialmente questo virus era conosciuto già da molto tempo prima che scoppiasse il caso.
«Conoscerlo è difficile, perchè conoscerlo significa isolarlo e non l’hanno fatto. Quanto al caso del medico morto perché si sarebbe infettato, ho molte perplessità, dato che era giovane, mentre il coronavirus porta alla morte anziani o persone con altre patologie cardiopolmonari o con diabete, cioè quelle patologie che abbassano le difese immunitarie».
Facciamo qualche esempio.
«L’attuale influenza stagionale in Italia contagia 40/50 milioni di persone in Europa, e provoca una letalità di 4/5mila individui. La letalità è meno dell’1 per mille, potrebbe essere zero se tutti si vaccinassero. Anche qui, non riuscirò mai a capire come le persone possano essere così stolte… Tornando a quei dati, diciamo che il coronavirus è un po’ a cavallo fra quei virus che danno una mortalità bassa e quelli che la danno molto alta, 2% non è alta ma è considerevole».
In Italia come siamo messi?
«Qui in Italia i casi sono quelli che sappiamo, non c’è altro, io sono in contatto con i colleghi dello Spallanzani, dell’ospedale Sacco, perché ho amici come il professor Galli, persona di grandi qualità: loro sono moderatamente preoccupati come lo sono io. Non credo che in Italia avremo un’epidemia perché mai come oggi sono stati messi in moto meccanismi sia da parte della Cina che ha fatto un cordone sanitario di un milione di persone, cosa per noi incredibile».
Eppure stamattina ho visto immagini del mercato in Cina che si è riaperto, con carne putrida in vendita…
«Loro hanno diviso la Cina in aree ad alto e basso rischio e quindi hanno riaperto, altrimenti morirebbero di fame. Sebbene l’economia cinese sia florida, bisogna tener conto anche dei costi che penalizzerebbero la produzione».
Ad uno scienziato come lei non mi permetterei mai fare questa domanda, però la professione me lo impone. Qualcuno ha detto la Cina è diventata troppo forte, troppo potente, e gli americani o chi altro temono questa potenza…
«Diciamo che con i virus non si scherza. Mi spiego. Quando anche questa cosa fosse possibile, ma non ci credo, tanto la Cina fa tutto lei, cioè tutte le epidemie, tutte, dalla sars all’influenza A, e tutti i virus sono quasi tutti di origine animale, questa loro commistione con gli animali crea non pochi problemi. Poniamo che il virus fosse stato inviato, ma i virus sono incontrollabili. Mi spiego: l’infettivologo considera i virus come una grande società, virus, batteri, miceti ecc., tutto quello che ci porta malattie, noi li dobbiamo considerare come delle società che esistono da migliaia di anni prima di noi, poi è arrivato il genere umano e abbiamo iniziato una sorta di convivenza con virus e batteri, i quali ogni tanto decidono di espandersi e creano dei problemi. Pensare di poterli gestire immettendo nuovi virus creati da noi è folle appunto perché sono incontrollabili, perché se passano da animale- uomo o uomo-uomo non è detto che restino sempre uguali, spesso si modificano. Nelle epidemie, così come nell’influenza, all’inizio si ha una sintomatologia più scarsa, poi man mano che si ammalano altre persone diventa sempre più forte e più violenta. La viremia aumenta tantissimo proprio perché il virus ha deciso di diffondersi, dopo si ferma e gli ultimi che si ammalano vengono attaccati da virus con un’attività influenzale più scarsa, forse anche perché il sistema immunitario inizia ad attrezzarsi».
Quindi sono i virus a decidere?
«E certo, sono loro che decidono di espandersi, noi possiamo solo prevenire, ma pensare di immettere un nuovo virus in una società è una follia, se non altro avrebbero già allestito un vaccino vendendolo poi a tutti per fare miliardi e miliardi».
La vaccinazione per l’influenza può essere un deterrente per il coronavirus?
«Quello serve per l’influenza stagionale, ma certamente io che mi sono vaccinato, insieme a tutta la mia famiglia, so che se prendo un raffreddore non è l’influenza ma un virus parainfluenzale che circola, anche se quando arriva l’influenza tutti i virus parainfluenzali fermano la loro attività. E questo è un fatto. Mai nella storia dell’uomo abbiamo avuto due epidemie, da due virus diversi, contemporaneamente».
Per concludere, il Moscati come è attrezzato?
«Il Moscati ha fatto tutto quello che doveva fare, d’altronde il reparto di malattie infettive ha tutte camere a pressione negative, di cui quattro sono addirittura singole a pressione positiva e negativa».
Che significa?
«Che nel momento in cui io sono in quella camera ed ho il coronavirus, il virus non arriva nei corridoi, quell’aria viene continuamente filtrata, depurata e buttata all’esterno. Ogni camera ha un’anticamera dove si trovano tutti i presìdi, mascherine, guanti e camici, e nel momento in cui il personale entra ed esce viene utilizzato questo materiale poi gettato in sacchetti chiusi ermeticamente».
Da quanto tempo è attrezzato il Moscati?
«Da quando è nata la città ospedaliera. Con Pino Rosato e Castaldo ci riunimmo per decidere come affrontare le malattie infettive. Decidemmo di essere previdenti, è preferibile spendere un po’ di soldi in più al momento opportuno ed essere attrezzati invece di fare le cose di fretta per affrontare l’emergenza. Quindi decidemmo di fare tutte le camere a pressione negativa, addirittura prevedemmo per le camere di isolamento, un vetro con citofono per permettere ai familiari di vedere e parlare con i pazienti in isolamento. Tutte le camere sono attrezzate così».
Tutto bene, ma non sembra, per l’ospedale.
«L’unica cosa che secondo me andrebbe migliorato è il rapporto ospedale-territorio. L’ospedale ha tutti i suoi percorsi, attrezzati per i vari casi, pronto soccorso e quant’altro, ma va oliata la rete sul territorio, Asl, medici di medicina generale, il prefetto, i sindaci. Ricordiamo che il sindaco è il primo gestore della sanità di una città, vedi il caso del sindaco di Mirabella che ha inviato i carabinieri a casa. Se fosse stato in piedi un certo tipo di percorso le cose sarebbero andate diversamente, ognuno avrebbe fatto la sua parte nel modo giusto, per questo creare una rete è importante. Ci dobbiamo preparare al peggio che non verrà, però bisogna prepararsi, così viviamo tutti più tranquilli. Se il sindaco ha una rete, sa a chi telefonare, sarà l’Asl, saranno i medici di medicina generale, sarà il territorio, l’ospedale ecc ecc. Quando ci fu l’H1N1, noi mettemmo in piedi tutto il meccanismo, perché in caso di pandemia dovevamo essere attrezzati, poi il virus si dimostrò a livelli di un’influenza stagionale se non anche meno. Tutti i medici di medicina generale venivano in ospedale per avere informazioni. Io vedo che ognuno si sta facendo il suo orticello, invece dovrebbe essere un discorso complessivo, di tutti quanti insieme. Chi dovrebbe farlo? Credo che probabilmente dovrebbero essere i sindaci, la Prefettura, l’Asl, cioè tutti».
L’informazione che ruolo ha?
«E’ importantissima. Basta andare su internet e si leggono un sacco di cretinate. Basta andare su OMS Coronavirus e trovate tutto, tutto quello che ho detto, fatto bene, con approfondimenti. A livello nazionale gira in un modo, probabilmente se andiamo in Toscana o in Emilia Romagna questo che ho appena detto già lo fanno, poi arriviamo in Campania, si parla, ma non si conclude. Abbiamo la rete per l’infarto, per il tumore al seno, quella oncologica, che stanno dando risultati, perché non attivarla anche per le malattie infettive in modo preventivo? E’ vero che nella nostra storia i rapporti ospedale/territorio sono sempre stati difficili. Un esempio che ha dato risultati: quando arrivavano in ospedale molti extracomunitari e una parte di questi avevano la tubercolosi, succedeva che li mettevamo in trattamento e dopo una quindicina di giorni, quando scompariva la sintomatologia, noi li rimandavamo nei loro centri e immancabilmente ritornavano con la febbre, nuovamente contagiosi. A quel punto mi misi in moto e con l’allora servizio epidemiologico, c’erano le dottoresse Ferrara e Bianchi, facemmo un protocollo d’intesa che passò anche per la Prefettura. Quello che facemmo allora funziona ancora oggi».
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Intuitivamente parlando mi pare che SE SI RIUSCISSE A RAGIONARE E AD AVERE CORAGGIO, si dovrebbe considerare NATURALI questi periodi storici che ben si ricordano in storia ad esempio come peste nera , spagnola o cose simili e fare come se niente fosse e vivere e fare le stesse cose che si facevano prima. Ad un certo punto ” chi è debole soccombe e chi è forte resta “. Sarà certo impraticabile questa mia ipotesi, ma del resto, finchè si trova un sacco di gente debole, finisce che facilmente l’ epidemia sarà recidiva e i tempi di FRENO saranno molto più lunghi. ( considerare che la morte che lavora nelle quinte, nel senso che ORDINARIAMENTE ognuno deve morire di qualcosa, ogni tanto esce sul palco a far scrematura anche degli attori che stanno recitando e non solo di persone che ormai sono fuori gioco per età o per altre cose. L’ epidemia è un fenomeno naturale che ci porta a maggior consapevolezza della nostra finitudine e magari a un approfondimento sui valori umani che danno senso alla vita e che stanno ben oltre alla semplice economia, affari guadagni.