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“Alle 14.20 della domenica di Pasqua, quando cercavo di non pensare alla prima Pasqua senza di te, è arrivata una telefonata sul mio cellulare. Ti cercavano, dall’azienda ospedaliera Giuseppe Moscati, cercavano il dottor Antonio Spina, perché avresti dovuto presentarti oggi a fare il vaccino anti Covid- 19”. E’ la scrittrice Emilia Cirillo a raccontare la prima Pasqua senza il marito Antonio Spina, medico amatissimo ed ex vicesindaco, scomparso nel luglio dello scorso anno, trasformatasi in una giornata surreale. Dall’ospedale la telefonata con la richiesta di presentarsi per il vaccino, come se il dottore Spina fosse ancora vivo.
“Ho risposto alla frettolosa voce femminile che tu non avresti mai potuto farlo, mai più, e la voce ha taciuto per un attimo, poi mi ha chiesto scusa e ha chiuso la telefonata. Conoscevo il numero da cui mi avevano chiamato, tante volte nell’ultimo anno è comparso sul mio cellulare: una voce diversa ci dava istruzioni per fissare appuntamenti, per farci andare a battere alla porta chiusa della speranza”. Non nasconde la sua amarezza Emilia:
“Non si dovrebbero fare telefonate di questo tipo, in genere, il giorno di Pasqua, in quell’ora in cui le famiglie sono unite intorno alla tavola, in particolare. Ho minimizzato con i miei fratelli, con mio figlio, ma la mia commozione era evidente. A questa, però, quasi immediatamente, è subentrato lo sdegno di chi si è resa conto, ancora una volta, che niente, tantomeno in sanità, funziona come dovrebbe. E noi siamo spettri dietro un codice fiscale e un libretto sanitario. C’è chi guadagna migliaia di euro all’anno per gestire, con insipienza, devo concludere, la nostra vita sanitaria. E di questo, malgrado si parla tanto, non si è mai venuto a capo. E non se ne verrà, almeno per il momento”.
Difficile immaginare che si faccia fatica anche ad aggiornare elenchi: “Una semplice revisione delle liste dei malati oncologici – prosegue – un’attenzione a chi manca nelle prenotazioni delle sedute, un “parlarsi” tra enti preposti all’anagrafe delle utenze, un “database” aggiornato avrebbe certo evitato, a me come ad altri, suppongo, questo penoso colloquio. E non sarebbe tornato a galla quello che cerco di trattenere da mesi nel profondo recinto della commozione: il ricordo dei nostri ultimi mesi, insieme”. Poichè “I vaccini che dovrebbero farci a Pasqua, come in tutte le feste familiari vissute senza i nostri affetti più cari, sono quelli di anestetizzare i ricordi, le voci, i gesti che riemergono anche senza la nostra volontà. La donna che mi ha chiamato non sapeva di accendere in me un falò di emozioni”.
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