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Interi reparti sacrificati per fare spazio alle “strategie” sanitarie anti-covid. Ospedali di provincia, come il Frangipane, che mal si adattavano alla conversione, obbligatoriamente trasformati in strutture per far fronte alla pandemia, senza avere i necessari requisiti. E poi una realtà fin troppo idolatrata come quella del Moscati di Avellino, dove però negli anni si andava sempre concentrando il peso della vicina provincia di Napoli, soffocando il pronto soccorso con i ricoveri e facendo emergere, nonostante l’elevata professionalità di alcuni reparti, deficit non indifferenti nel momento in cui al numero dei ricoveri “abituale” si univa il macigno dei contagi della prima e della seconda ondata del virus.
Per non parlare poi di vicende mai del tutto venute a galla, come quella della palazzina Alpi, con le famose dimissioni dei quattro medici che denunciavano carenze di sicurezza e ora con la recentissima storia delle mascherine non a norma. La verità è che mentre le difficoltà di un Frangipane e del vicino nosocomio di Sant’Angelo sono sotto gli occhi di tutti e gioco forza, Ariano, ha dovuto affrontare la conversione del suo ospedale, per affrontare una prima emergenza con un numero elevatissimo di casi, per quanto riguarda il Moscati fin troppe volte si è registrato in questi mesi un esplodere di denunce a cui poi faceva seguito un improvviso black out di comunicazione sul “cosa e il come”.
Insomma due realtà così diverse ma accomunate, nella medesima provincia, da un unico grande deficit che oggi emerge nella sua potenza negativa massima, ovvero la mancanza di personale. E questo nonostante al Moscati la Direzione si sia sempre prodigata nel sostenere che grazie agli avvisi pubblici si era in parte riusciti a sopperire all’emorragia. E poi i decessi per Covid, ancora cinque nelle ultime 48 ore, davvero tanti, rispetto a un numero di contagi e ricoveri che seppur elevato, non sembra così pesante come quello della prima fase.
Perché è vero che per la maggior parte si tratta di pazienti con patologie croniche, a cui si aggiungono la 17enne di Avella, caso eclatante, e il dirigente del reparto malattie infettive. Ma qualcosa non torna. Una debolezza strutturale quella del Moscati, fin troppo celata, che emerge adesso quando le forze mancanti fanno il paio con la scarsa sicurezza. Dove sono i tanti attesi e richiesti tamponi veloci giornalieri sul personale prima che ognuno prenda servizio? Dove sono, si chiede ancora il sindacato, i tamponi completi ogni 20 giorni a tutti gli operatori? Per non parlare poi della chiusura di molti reparti no covid, che fanno emergere, in questo momento, la realtà di un ospedale cittadino che soffre la seconda ondata del virus da una parte, ma dove soprattutto, al momento, la cura della patologie tradizionali e la prevenzione appaiono totalmente ferme. La speranza, è quanto si augurano i vertici del sindacato, è che con il calare della curva dei contagi e il diminuire dei ricoveri, il Moscati possa tornare a brillare per la sicurezza che era capace di offrire a pazienti di tutta Italia nella cura di molte patologie.
Ma ovviamente è chiara la mancanza di un piano strategico, vedi nuove assunzioni soprattutto nel settore infermieristico, laddove problematiche conosciute e mal celate sono venute a galla nei mesi più difficili. Mentre per Ariano a Sant’Angelo, strutture non nate per essere ospedali Covid, la speranza è che l’incubo pandemia finisca presto. Laddove restano chiusi 12 posti di terapia intensiva per mancanza di personale e dove, sempre secondo il Nursing Up, mancherebbero almeno 500 infermieri per far fronte all’emergenza attuale per quanto riguarda la sola Asl Avellino.
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