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ARIANO IRPINO- Provate ad aprire la finestra, come fate ogni mattina, per cambiare aria, per cominciare a pulire casa. Provate a guardare di fronte, che cosa provate quando vedete che uomini o donne, non si capisce che cosa siano, bardati come astronauti, prelevano la signora dirimpettaia e la portano in ospedale. Non si sa che cosa succederà, a quella donna, quale destino l’attende. Il giorno dopo tornate ad aprire la finestra, e arrivano altri astronauti, e cominciano a spruzzare materia bianca dovunque, in quella stessa casa dalla quale è stata portata via quella signora, quella donna, il suo carico di
storia, la sua vita, i suoi affetti, i suoi ricordi, l’odore dei suoi figli.
Questo racconto ce lo rappresenta Tiziano Tedeschi, un collega giornalista, che vive nella zona di fuoco, nel centro storico. E’ lui a dirci quanta aspra solitudine si vive quando ti capita di vivere ad Ariano, zona rossa, interdetta anche al benché minimo respiro. Ma può essere mai così? No, non può essere, se si ascoltano tante storie, se si leggono le disperate e struggenti lettere che arrivano da Ariano e da ogni parte del mondo, perchè serve un’azione di forza, una sferzata di coraggio e di mobilitazione, sanitaria e sociale.
Apriamo un altro capitolo.
Se la vostra casa si affaccia su un altro versante di Ariano, provate a dare un’occhiata a quello che succede in quest’altro quartiere. C’è un padre di famiglia, infermiere, sindacalista, la moglie è stata ricoverata al Frangipane, attualmente è lì, sotto tutti i marchingegni sanitari che la tengono in vita, ma lei stessa si dà forza, perchè su whatsapp pensa sempre, incessantemente, ai suoi due bambini, e parla con il marito, o meglio scrive, positivo anche lui, e poi scrive ai suoi ragazzi, un maschio e una femmina, pure hanno avuto sintomi, ma stanno reagendo. I nonni, che vivono nello stesso stabile, stanno male, sono sintomatici, stanno aspettando che si faccia loro il tampone, ma il padre è in condizioni molto gravi, il figlio infermiere, che saprebbe come fare, non può muoversi, non può scendere per dare loro una mano. Cosa c’è di più di atroce?
Provate a leggere una lettera, quella che arriva da
una figlia che scrive dal Canada. Ve la presentiamo in versione integrale nella pagina qui a fianco. Intanto, in questo racconto intriso di dolore e di rabbia, vi diciamo che questa donna è una grande combattente, perchè da una terra lontanissima si erge a paladina per tutti gli arianesi, e combatte, combatte. E combatte. Non lo fa solo per i suoi genitori, che stanno attraversando momenti terribili. Lo fa per tutti gli arianesi, per tutte le persone che in questi giorni di dolore vivono drammi inenarrabili. Nessuna penna potrà mai essere in grado di raccontare che cosa si sta vivendo, in una zona dichiarata rossa, come Ariano. Dove nulla è permesso, neanche respirare. Dove non c’è spazio per un sentimento umano, perché anche quello sarebbe un momento di contagio. Dove chiamare per un tampone significa aspettare. E l’attesa è lunga, perché dilatata dall’attesa nell’attesa. E quel ritardo potrebbe essere fatale. Ma nella terra del dolore la protesta è possibile, e come se non è possibile.
E allora in questo racconto, come ci dicono le tanti voci che ci stanno contattando in queste ore, diciamo che la mobilitazione è possibile, la protesta pure, e la speranza è un’altra frontiera assolutamente capace da raggiungere. Non ci sono altre scorciatoie, né pastoie politico-burocratiche, in questo racconto: c’è la rappresentazione, nuda e cruda, di quel che si vive in una città come Ariano irpino, chiusa nel suo dolore, ma che si presenta aperta all’attenzione e alla solidarietà di tutti quanti.
Provate a uscire per acquistare una bombola di ossigeno, quella che magari serve a vostra madre, o a vostro padre, a vostro figlio, per sopravvivere, nell’attesa del tanto sospirato tampone. Non è facile trovarla, quella bombola. E se poi la trovi, te la porti a casa. Ma se ti vede l’amico trascinarla a terra, ma quella è pesante, e lui ti vorrebbe aiutare, alla fine non lo fa, perché pensa che tu sei infetto, o lui può infettarti. E allora ogni forma di solidarietà va a farsi benedire. Sono queste le rappresentazioni fotografiche che arrivano da Ariano Irpino, mentre rimbomba la notiza del dottore Spinazzola che non ce l’ha fatta, e mentre dal centro Minerva si susseguono notizie nefaste, sulla sorte dei suoi ospiti. Intanto i pazienti all’ospedale Frangipane continuano a combattere, come Franco Lo Conte, attaccato ai suoi tubi, e mentre tante altre persone a casa non sanno come fare, quanto debbono aspettare, per poter avere una diagnosi, mentre sono chiuse nelle loro case, e magari devono salutare i loro cari da un balcone, mentre il caro funebre passa pietosamente per ricevere l’ultimo saluto.
Questa è Ariano, oggi. Ce lo dicono i colleghi giornalisti che lavorano dai siti di Ariano, ce lo dice Floriana Mastandrea che lancia continui messaggi, appelli, dal sito arianonews24.it. Lo stesso sito che pure rilancia la disperata lettera di Maria Elena Lanzafame, e che riportiamo nella pagine seguente.
Ma c’è un altro appello, che arriva da Giuseppe Guardabascio, quando dice, “neanche oggi vengono a farmi il tampone, mi hanno detto di stare chiuso nella stanza fino a quando sarebbero venuti, senza darmi una data precisa, mi sono arrabbiato come un bestia e si sono presi per l’ennesima volta i dati dicendo che verranno domani, poi si sono giustificati dicendo che oggi non faranno tamponi a nessuno perchè non ci sono e perché l’Asl ieri sera aveva comunicato di non farli oggi…Sono rinchiuso in una cameretta…da più di dieci giorni, l’unica cosa che mi hanno detto di fare senza sapere se sono positivo o negativo, per il resto, abbandono totale… Poi ci meravigliamo dei numeri impressionanti di morti e contagiati…».
Mentre si scrive, le notizie continuano ad arrivare, da Ariano, dal centro Minerva. I colleghi chiamano, aggiornano, ma resta il fatto: Ariano è chiusa all’esterno, ma non può morire così. Tutti devono trovare il modo di aprire quelle porte. Subito. L’ex sindaco, Vittorio Melito, ha ragione: non ci sono giustificazioni che tengano. Si decida, ora, ieri.
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