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Bollette di luce e gas raddoppiate. La farina, quando si trova, pure. Il prezzo del pane rimane lo stesso. Il settore della panificazione è allo stremo. “Così non possiamo andare avanti”, dice Enrico Savelli, presidente dei 370 panificatori irpini che ieri si sono riuniti nella sede di Confcommercio per chiedere tramite il prefetto di Avellino, Paola Spena al Governo di intervenire. “La soluzione? Vogliamo sgravi fiscali, altrimenti non si va avanti. Faccio un esempio: fino a pochi mesi fa spendevo 1600 euro al mese di energia elettrica: proprio oggi mi è arrivata la bolletta: c’è scritto 3.400 euro. La farina è passata da 55 centesimi al quintale a 87. Inoltre molti mulini sono fermi perché non c’è materia prima: il grano viene dall’Est, dalla Russia e dall’Ucraina. Invece il ‘canadese’ neppure si trova a causa della siccità che la scorsa stagione ha bruciato molti raccolti”. Insomma la tempesta perfetta. Savelli continua snocciolare numeri: “Gli imballaggi, tra plastica, carta e cartone, sono aumentati di cinque euro al chilo. Per le consegne pure il prezzo è raddoppiato: prima per un furgone bastavano dieci euro al giorno, oggi 20”. Ma il prezzo del pane per i consumatori è sempre quello: 2,70 euro al chilo. “Non se ne parla di aumentarlo. E’ da dicembre che è stabile. Non ci conviene perché la gente oggi deve far fronte ad un aumento generalizzato dei prezzi mentre gli stipendi sono sempre gli stessi. Se sale pure il prezzo del pane, se ne consumerà di meno e per noi ci saranno meno entrate”. Si sconta ancora l’effetto della pandemia da Covid: “In questi mesi la vendita di pane è diminuita del 40 per cento. A causa della pandemia provocata dalla crisi economica che è seguita al virus i consumatori hanno cominciato a stringere la cinghia”.

Bisogna far qualcosa: “Se il Governo non trova una soluzione – dice Savelli -, allora non potremo che fermaci. Molti panificatori già ci stanno pensando. Io ad esempio in quest’ultimo mese ci ho rimesso 25mila euro”. Altro che profitti. “Purtroppo tra un po’ sarò costretto a mettere alcuni dei miei 12 dipendenti in cassa integrazione”. Anche Coldiretti sottolinea che il prezzo del grano tenero per il pane è balzato del 53% dopo un mese di guerra in Ucraina, ma ad aumentare del 30% è stata anche la soia e dell’11% il prezzo del mais. A pesare è la chiusura dei porti sul Mar Nero che impediscono le spedizioni e creano carenza sul mercato mondiale dove Russia e Ucraina insieme rappresentano il 28% degli scambi di grano e il 16% di quello di mais a livello mondiale secondo il centro Studi Divulga. “Una situazione che – sottolinea la Coldiretti – nei paesi più sviluppati sta alimentando l’inflazione ma a rischio c’è la stabilità politica di quelli più poveri con i prezzi del grano che si collocano sugli stessi livelli raggiunti negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina”. Una emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. Una emergenza destinata a durare poiché l’Ucraina ha annunciato che per effetto della guerra in primavera riuscirà a seminare meno della metà della superficie a cereali per un totale di 7 milioni rispetto ai 15 milioni previsti prima dell’invasione Russa.

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