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Fierro, il fallimento della società di Corso Europa è una soluzione?
E’ la peggiore delle soluzioni. Il fallimento fa dell’azienda una cosa che non vale nulla. Con il fallimento gli viene impedito di ottenere la concessione del servizio idrico che in questa fase è in affidamento. Con la concessione l’azienda avrebbe avuto una dote che la rendeva partner appetibile per un altro soggetto finanziariamente più forte per costruire qualcosa di meno precario.
E’ a rischio la gestione pubblica dell’acqua?
Assolutamente sì. Fatto fuori l’ACS, diventa più forte la posizione della Gesesa, società privata che insiste nell’ambito territoriale comune alle province di Avellino e Benevento. Potrebbe, comunque forzando i requisiti, essere individuata come gestore. Ma potrebbero aprirsi anche altre soluzioni privatistiche con l’altro privato che è Gori. Ancora altri potrebbero scendere in campo. Sarebbe una grande iattura… L’ambito avellinese non è tanto appetibile per la quantità di utenze ma per la presenza delle sorgenti. La Procura chiede il fallimento per un chiarimento e la individuazione di responsabilità ma l’effetto vero è quello di determinare soluzioni politiche che non sono di competenza della magistratura penale che individua e persegue reati. Mi sono chiesto se alla fine delle indagini sia effettivamente necessaria la richiesta di fallimento. E’ una valutazione di tipo tecnico-giudiziario che francamente non sono in grado di giudicare.
Solo l’Alto Calore può assicurare la gestione pubblica?
L’affidamento del servizio ad un soggetto pubblico è da perseguire, sia nel caso in cui l’Alto Calore non fallisca sia se verrà dichiarato fallito. Un referendum ha scelto che l’acqua è un bene pubblico e questo a mio avviso garantisce l’ esclusione o quantomeno il non ampliamento l’area privatizzata. Questa è la strada che deve essere perseguita. Mi preoccupa che ci sia una sorta di ineluttabilità. La Procura ha chiesto il fallimento, se il Tribunale lo dichiara, non possiamo che rivolgerci a soggetti che già operano nell’ambito del territorio irpino-sannita. Non possiamo consentirlo. Allora vanno cercate altre soluzioni.
Ad esempio?
Alitalia era pubblica, fu affidata ai privati, che scelleratamente hanno fatto peggio dello Stato. Ritorna in campo lo Stato e si sceglie di far fallire Alitalia, trasferendo le attività ad una nuova società libera da debiti con l’incarico di stare sul mercato. E’ una delle soluzioni praticabili? Ma io non credo che si possa immaginare una immissione di denaro senza prima modificare la situazione esistente. Dobbiamo costruire un altro soggetto.
Una nuova società?
E’ stata ipotizzata una compagnia multiutility partendo da IrpiniAmbiente che già c’è. E’ un’altra possibilità: Irpiniambiente modifica ragione sociale ed assetto proprietario e societario ed acquisisce in affidamento diretto la gestione del servizio idrico. Io penso comunque sia necessario un Commissariamento dell’ACS da parte del Governo evitando il fallimento. Ma il nodo è che la politica tace e soprattutto che da Santa Lucia non viene nessun segno di vita, quasi che il fallimento tolga a tutti una spiacevole grana con una privatizzazione dell’acqua che non è colpa di nessuno.
Quando è iniziata la crisi dell’Alto Calore?
Con lo scandalo dell’Alto Calore dei primi anni novanta. Lo scandalo travolse Russo e i suoi colleghi e l’apparato tecnico dell’ente. Ma si perse l’occasione di voltar pagina. Ci fu il tentativo della gestione Sorvino che vide coinvolti anche i Dsma questo tentativo fu stroncato. Da allora l’andazzo tornò quello di prima, anzi peggio di prima.
L’Alto Calore è stata definita una macchina di clientele
Questo è oramai scolpito nella pietra. Offrire oggi ai responsabili di questo sfascio una tribuna che viene usata non per chiedere scusa m per discolparsi senza ritegno è scandaloso. Oggi tutti a dire: io non c’en – tro, come se assunzioni di clienti, incarichi professionali inutili, convenzioni generose, appalti discutibili fossero caduti dal cielo.
Quando una azienda idrica si può risanare?
Quando si possono portare i costi e i ricavi ordinari in pareggio, a prescindere dai debiti. I costi maggiori sono due, le altre cose sono quisquilie: il personale e il costo dell’energia.
Che propone?
Il personale va ulteriormente tagliato, a partire dalle posizioni dirigenziali. Ma è l’energia elettrica, il costo più importante perché sempre più l’Alto Calore preleva l’acqua da falde profonde. E tale costo non si riduce trovando un migliore fornitore. Scende se si riduce la quantità di acqua che si pompa. Ma poiché la quantità di acqua richiesta dall’utenza non si può toccare, il problema, che io ho sollevato, solitario e inascoltato da venti anni, sono le perdite d’acqua in rete. Quelle comunali sono un vero colabrodo: dal 40 al 50 per cento, forse più, dell’acqua va persa. Se così non fosse dovremmo pompare meno acqua e forse ne avremmo anche un poco di più da lasciare nei fiumi. E su questo l’ACS non ha mai fatto niente. Mi ha ricordato la De Simone che ci fu con lei presidente uno scontro sui fondi comunitari che lei proponeva fossero investiti sulla rete idrica. Gli eredi della DC si opposero perché quei fondi era meglio distribuirli a pioggia tra i sindaci clienti. Come mi disse una volta un sindaco: la rete scorre sotto terra, nessuno la vede, i marciapiedi i cittadini li vedono e mi votano…
La Regione ha previsto circa 60 milioni di euro per la rete e altri soldi arriveranno con il Pnrr.
Dove? Quando? Come? A quanto ne so in Campania il capitolo destinato specificamente alla eliminazione delle perdite in rete è vuoto. Eppure vi sono legati anche altri vantaggi, oltre la riduzione dei costi per gli enti ed in bolletta: più acqua per l’ambiente, una miriade di lavori in tutti i Comuni con grande occupazione diffusa. C’è una difficoltà però. Portare in un grande progetto europeo la sommatoria di tanti progetti comunali, richiedeva una intelligenza politica. C’è stato nessuno che abbia tentato di mettere i sindaci intorno ad un tavolo, ottenere la delega per la progettazione esecutiva e preparare un unico grande progetto per la Provincia di Avellino? C’è stato mai un grande progetto della Regione Campania in questa direzione? Eppure ci vuole poco. Invece di fare progetti con i disegnini e scavi, bastava farli per un costo unitario di metri di rete da collocare. Nessuno, non solo della mondo politico, ma anche ambientalista, ha innalzato questa bandiera.
Lei è stato presidente dell’Alto Calore Patrimonio, si sente un po’ responsabile?
Assolutamente no. La scelta di fare le due società non mi appartiene, quando fu decisa con il consenso dei Ds, io ero fuori dal gruppo dirigente. Quella scelta però è nata sulla esigenza di separare la proprietà delle reti dalla gestione del servizio come fatto per la rete ferroviaria e quella elettrica. Criminale fu non trasferire alla Patrimonio l’ufficio tecnico, che per il 90 per cento serve per i lavori sulla rete. Si volle che la Patrimonio nascesse morta, una cassaforte per di più vuota. Ho tentato di metterci qualcosa dentro rivendicando la proprietà di reti in contestazione con la Regione. Ma remavano contro i mattoidi di Corso Europa che sostenevano che le reti tutte fossero regionali, contro la realtà e gli interessi delle due società. Ho solo avviato un lavoro che era premessa ai progetti di intervento sulle reti. Ho ten
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