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Una lunga lista di indagati figura nell’operazione “Grande Carro”, blitz di Dda e carabinieri del Ros. In cella mafiosi foggiani e funzionari regionali ma anche professionisti e intermediari dei clan. L’ordinanza monstre, oltre mille pagine, svela una serie infinita di reati. Associazione di tipo mafioso, riciclaggio, estorsione, illecita concorrenza con minaccia o violenza, sequestro di persona a scopo di estorsione, detenzione illegale di armi/esplosivi, truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche (anche con riferimento a quelle UE) ed altri delitti, tutti aggravati ex art. 416 bis.1 C.P, per aver agevolato le attività di una organizzazione mafiosa. I provvedimenti scaturiscono da un’indagine avviata dal ROS che – dopo la cattura del latitante Francesco Russo in Romania – si è concentrata sulle dinamiche criminali riconducibili alla “batteria Sinesi-Francavilla” della Società foggiana, organizzazione mafiosa sviluppatasi alla fine degli anni ’80 nella Provincia di Foggia, la cui esistenza è stata giudiziariamente accertata da numerose sentenze passate in giudicato. Strutturata in “batterie”, nel corso degli anni, il sodalizio ha subito un fenomeno di modernizzazione criminale che lo ha portato ad orientarsi verso un più evoluto modello di “mafia degli affari”.
Le complesse indagini, che hanno a lungo impegnato la Procura Distrettuale e le varie articolazioni del ROS presenti sul territorio nazionale, hanno consentito di documentare: l’esistenza ed operatività di una articolazione della suddetta “Batteria” attiva a Foggia, Orta Nova, Ascoli Satriano e Cerignola, con interessi su Rimini e Alta Irpinia. Ma anche in Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca. E, ancora, ruoli e funzioni degli affiliati all’interno della consorteria, rispondente a Francesco Delli Carri, storico esponente della Società foggiana e a suo fratello Donato. In tale contesto sono emerse pure le figure di Aldo Delli Carri, cugino di Francesco e Donato, impegnato nel reinvestimento dei proventi illeciti nel settore immobiliare e nelle truffe per l’indebita percezione di contributi per l’agricoltura erogati dall’UE e dalla Regione Puglia. E poi i rapporti dei “Delli Carri” con esponenti della criminalità garganica e di Canosa di Puglia, grazie ai quali hanno potuto esercitare le proprie attività illecite in quelle aree.
Sotto il profilo delle attività criminali, è emersa una forte pressione estorsiva esercitata dal sodalizio a carico di aziende agricole, ditte di trasporti e di onoranze funebri, società attive nella realizzazione di impianti eolici e nel settore delle energie alternative le quali, a seguito di sistematica attività intimidatoria, sono state costrette al versamento di percentuali sui ricavi/lavori ottenuti, nonché ad affidare in subappalto ad aziende riconducibili al sodalizio l’esecuzione di contratti di lavoro, servizi e forniture. Inoltre, è stata riscontrata la riconducibilità di una serie di imprese operanti nei settori edile, movimento-terra, trasporti, ristorazione e del gaming, alla Batteria che, tramite prestanomi, costituiva ex novo società, oppure infiltrava gli assetti societari esistenti. In tale contesto è stato pure accertato il reinvestimento di fondi illeciti nell’acquisto di un complesso immobiliare ubicato a Praga. L’inchiesta si muove su due filoni investigativi che ruotano attorno alle attività illecite della batteria mafiosa Sinesi-Francavilla di Foggia, con al vertice il pregiudicato Francesco Delli Carri. Il primo riguarda presunte estorsioni ad aziende agricole, di trasporti e onoranze funebri, società nel settore delle energie alternative, costrette dietro minaccia a versare percentuali sui ricavi o ad affidare in subappalto ad aziende riconducibili al sodalizio l’esecuzione di lavori e forniture. Le intimidazioni sarebbero consistite in incendi a mezzi aziendali, ordigni e colpi fucile alle abitazioni degli imprenditori o alle sale di ingresso delle aziende.
«Veniamo a bruciarti, a sparare a te alla tua famiglia» dicevano alle vittime, spiegando che «qui sta la stessa legge che sta là sotto», intendendo dire – hanno spiegato gli inquirenti – che a Foggia valgono le stesse regole mafiose della ‘Ndrangheta calabrese, con la quale sono stati accertati contatti. I proventi delle attività illecite sarebbero poi stati reinvestiti, tramite prestanome, in altre società, anche all’estero, nei settori edile, movimento-terra, ristorazione e del gaming. Le indagini hanno anche documentato il tentativo, in occasione delle elezioni comunali di Foggia del 2014, di far eleggere a consigliere comunale una persona vicina al sodalizio. Il secondo filone investigativo riguarda le presunte truffe finalizzata all’indebita percezione dei fondi Ue per l’agricoltura, oltre 13,5 milioni di euro, con la connivenza di quattro funzionari compiacenti della Regione Puglia, tre dei quali arrestati. Uno di loro, Giovanni Bozza, è accusato anche di aver intascato tangenti per agevolare il sodalizio.
Il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho ha evidenziato che questa operazione «ha colpito la struttura criminale nella sua componente militare ma anche in quella economico-imprenditoriale.
Ciò che credo costituisca l’aspetto più significativo – ha detto – è che la Società foggiana non si muove solo per consumare reati tradizionalmente mafiosi, ma ha assunto il modello tipico delle organizzazioni mafiose attraverso la gestione di affari e quindi attraverso una articolazione imprenditoriale economico – finanziaria».
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