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VIBO VALENTIA – La prima cosa che si affretta a specificare è di «essere in quarantena dal 9 aprile», giorno in cui ha messo piede in Calabria. Regole che ha rispettato per tutto il tempo e che continua ovviamente a fare soprattutto adesso che è divenuto positivo ed asintomatico (LEGGI). Una notizia inaspettata giunta ad appena 24 ore dal termine del necessario periodo di isolamento.

È il 19enne di Bivona rientrato agli inizi del mese dall’Inghilterra, da Londra in particolare, dove lavora da circa sei mesi insieme ad altri tre suoi compaesani, uno dei quali anch’egli contagiato dal Coronavirus. Negativi, invece gli altri due. Anche lui, come il giovane di Briatico, e tanti altri che sono tornati in Calabria, è finito nel tritacarne dei social network, vittima di accuse  che l’hanno spinto a contattare il Quotidiano. Racconta la sua storia, dalla permanenza nella “City”, alla decisione di rientrare fino ai controlli durante il viaggio di ritorno.

«A Londra la situazione non era certo delle migliori – afferma – d’altronde, ti ritrovi in una metropoli di milioni di persone con un elevato rischio di contagio». E per lui, stando a contatto con centinaia di persone per via del lavoro, le probabilità erano ancora più elevate, soprattutto se si pensa che in quel periodo, nel Paese d’Oltremanica, il lockdown era iniziato dopo quello in Italia e pertanto l’isolamento era ancora volontario. «All’inizio – racconta – non era ben chiaro come sarebbe evoluta la situazione e quindi ho pensato che c’erano ancora le condizioni per restate ma, guardando a quanto stava succedendo da noi, avevo intuito che la stessa cosa sarebbe presto successa qui. Ed infatti così è stato.  Pertanto insieme ad altri tre miei compaesani, l’8 aprile scorso abbiamo preso l’aereo, uno di quelli messi a disposizione dal governo a 50 pound e siamo rientrati a Roma». E controlli? «Solo un termoscanner per la temperatura allo scalo di Heathrow e una compilazione di moduli a quello di Fiumicino. Poi l’affitto dell’auto e il viaggio con destinazione Bivona».

E una volta giunto a casa il 19enne, come i suoi compagni di viaggio si è messo in quarantena. Sintomi, al pari degli altri, praticamente nessuno. Il 25 aprile sarebbe finito il periodo di isolamento ma il Dipartimento di prevenzione dell’Asp, dimostrando non comune scrupolosità, ha voluto comunque effettuare il tampone prima dello scadere del termine. Un’intuizione che è stata decisiva visto che il ragazzo è risultato positivo. E così si è praticamente azzerato il rischio che lo stesso potesse venire a contatto con altri. Ovviamente la notizia ha sconfortato un po’ il 19enne: «Il traguardo sembrava ormai vicino ma poi è arrivata la doccia fredda. E adesso continuo a restare lontano dagli altri fin quando non sconfiggerò il virus».

E proprio sulla circostanza di non aver mai avuto contatti fin dal suo ritorno, il ragazzo ha voluto precisare alcune cose, soprattutto dopo le accuse sui social: «Sono stato fatto oggetto di attacchi e insulti pesanti. Ma ciò che molti non sanno è che, innanzitutto, in quel periodo si poteva e, si può rientrare, dall’estero. Vorrei vedere chi parla a sproposito se fosse stato nella nostra situazione cosa avrebbe fatto. Lontani 2.000 km da casa, dalla famiglia nel mezzo di una pandemia, con una sanità che non è certo quella italiana dove vieni curato anche se non ha un soldo. Noi abbiamo fatto una scelta sofferta ma inevitabile. Avevamo paura e se questo è una colpa allora, sì, siamo colpevoli. Ma responsabili perché ci siamo messi in quarantena. Regole che abbiamo rispettato tutti e quattro scrupolosamente. E nessuno può insinuare il contrario».

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