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VIBO VALENTIA – I suoi occhi chiari si illuminano quando parla di loro. Il sorriso ne riempie il volto e ne soppianta all’amarezza che, tuttavia, traspare in certi momenti dalle sue parole. Un padre vive per i propri figli ma il sentimento sarebbe pieno se questi fossero vicini a lui. Ne parla di loro con orgoglio, Franco De Caria, dipendente in servizio all’Azienda sanitaria di Vibo, pur sapendo che li potrà vedere, se tutto va bene, una volta l’anno. Sì, perché tre dei suoi quattro ragazzi sono stati costretti a lasciare l’Italia per cercare lavoro all’estero, e il quarto lo farà nel momento in cui – e non manca molto – conseguirà la laurea a Pisa. E in questo caso l’estero si chiama Australia. La parte opposta del globo: a 16mila km di distanza.

L’ultima, Rosa, l’ha vista partire appena pochi giorni fa, quando l’ha accompagnata alla stazione di Vibo-Pizzo: «Oggi – scrive su Facebook – il mio cuore è ancora più triste. Parte per l’Australia per cercare lavoro, un’altra figlia (la terza). Grazie al governo italiano, e a tutti quei politici che pensano solo ai fatti loro». È lo sfogo di un papà che avrebbe voluto avere gli affetti più cari in un momento della vita in cui la solitudine può rappresentare un peso a volte insostenibile. Una storia di emigrazione, di mancate occasioni in una terra che non ne offre o che non le valorizza per come dovrebbe; storie come tante, del resto, anche se questa, a modo suo, è probabilmente unica: Veder partire un figlio ci sta, ma ben tre, e col quarto in procinto… Un’amarezza che si può solo immaginare e forse neanche.

Franco ha fatto il percorso inverso, dalla “terra dei canguri” dov’è nato, e di cui ha doppia cittadinanza (che ha reso più facile l’ingresso dei figli nel Paese), si è trasferito in Italia, si è sposato ed ha trovato lavoro a Vibo. Lo incontriamo nella sua abitazione al terzo piano di un palazzo sito in via Candela, a Vibo. Una casa accogliente anche se ormai silenziosa. «Eh sì, quei tempi in cui si ascoltavano le voci sono ormai passati. Adesso solo via Whatsapp o, magari, Skype». E qui il volto si intristisce, le rughe che lo solcano si fanno più grevi. Il pensiero, d’altronde, va a 16mila km di distanza. Gli domandiamo come si stanno trovando i suoi figli lì, dall’altro capo del mondo. E allora gli occhi iniziano ad illuminarsi: «Si trovano bene, si sentono molto ben voluti». Rosa ha raggiunto i fratelli Maria Gloria, sposata con Alex, e Andrea. Tutti insieme vivono a Yamba, città ad 800 km da Sidney. I primi due hanno aperto un negozio di telefonia e lei lavora anche per un’impresa di pulizie – racconta il genitore – Andrea invece, sfruttando gli studi fatti in Italia e la sua esperienza nel campo sanitario, è in servizio presso una struttura di riposto per soggetti con demenza senile. Sono giunti lì nel giro di pochi mesi nel 2018. L’apripista, a maggio, è stata Maria, 25 anni, che ha raggiunto il futuro marito Alex al quale ha dato una figlia, la dolcissima Elena, sorriso e vivacità coinvolgenti; pochi mesi dopo è toccato al fratello 30enne. Adesso Rosa, appena 20 anni. In Italia è rimasto soltanto il 24enne Filippo ma, come detto, ancora per poco.

Gli chiediamo cosa prova oggi: «Da un lato – afferma – non posso che essere felice per il percorso di vita che hanno avuto i miei figli; se loro stanno bene, si trovano bene, sono ben voluti allora io sono il primo ad essere lieto, ma bisogna chiedersi il motivo per il quale hanno dovuto lasciare Vibo e più in generale l’Italia: qui non si punta sui giovani. Quante volte ascoltiamo storie di ragazzi che trovano all’estero l’impiego per il quale hanno studiato mentre qui sono costretti ad esempio a barcamenarsi in contesti totalmente differenti? “Qui sono ingegnere informatico mentre in Italia lavoravo come cameriere” sono solo alcuni dei racconti di ragazzi che vivono fuori dalla Penisola. Io non potrò mai perdonare lo Stato italiano perché ha spedito i miei figli all’altro capo del mondo, perché non ha saputo ascoltare il loro dolore, cogliere le loro istanze, realizzare, almeno in parte, i loro sogni. Li vedrò, se va bene, una volta l’anno e questo per un genitore è un peso insostenibile».

Parole, quelle di papà Franco, che la secondogenita Maria condivide in pieno: «Qui in Australia abbiamo raggiunto traguardi che, purtroppo, in Italia non avremmo conseguito nemmeno in 30 anni di duro lavoro. Per intenderci solo un terno al lotto ci avrebbe “salvato”. È triste che sia necessario rifugiarsi e trovare una sicurezza lavorativa, che il tuo paese per tuo diritto dovrebbe offrirti, in un altro Paese. Abbiamo il grande sostegno di nostro padre e nostra madre che ci hanno regalato la cultura e la dignità, senza il nostro valore della famiglia non avremmo raggiunto traguardi eccellenti. E soprattutto il supporto di mio marito Alex che ha avuto il coraggio di mollare tutto e di partire per primo». Quindi un appello rivolto a tutti i giovani: «Non spaventatevi di osare, non spaventatevi di lasciare la vostra terra per raggiungere una “normalità” che il nostro paese non ci offre. Osate ovunque, nel mondo incontrerete persone in grado di sostenervi e di accogliervi».

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