Ilaria Servello
2 minuti per la letturaPIZZO – Ci sono delle espressioni che puntualmente accompagnano le discussioni sui migranti; le leggiamo, le ascoltiamo, a volte le pronunciamo anche, senza nemmeno poi conoscere davvero la materia in oggetto. Ce n’è una in particolare che si ripete sempre più spesso: “aiutiamoli a casa loro”; ecco, la storia di Ilaria Servello 24 anni di Francavilla Angitola, potrebbe partire proprio da qui. Ilaria, infatti, a casa loro, e precisamente in Ghana, ha deciso di andarci davvero ed il racconto di quella avventura è una bella storia di integrazione all’incontrario.
Lo scorso novembre, subito dopo la laurea triennale in Lingue Straniere, ha deciso di buttarsi anima e corpo in questa nuova avventura. Tante ricerche per trovare una associazione affidabile e infine la scoperta, su Facebook, della Soho Sparks of Happiness Onlus, un ente di Firenze operante in un villaggio rurale di 3.000 anime a Dodowa, a circa due ore dalla capitale Accra, che richiedeva l’aiuto di volontari disposti a partire.
«Ho immediatamente contattato l’associazione – racconta Ilaria – e dopo pochi giorni, ancora incredula, stavo già organizzando il mio viaggio». Due mesi per sbrigare tutte le pratiche amministrative ed i vaccini, 17 ore di volo e l’avventura finalmente aveva inizio con «la paura di non essere all’altezza di una esperienza così forte».
Ilaria racconta infatti di aver avuto un impatto duro con una realtà lontana anni luce dal suo quotidiano, i 120 bambini di cui doveva occuparsi come educatrice erano tutti orfani e vivano in un istituto gestito dalla Onlus italiana insieme a delle signore chiamate “mamas”, le quali in cambio di vitto e alloggio si occupavano dei bambini più piccoli. Ilaria ha fatto i conti anche con quella che chiama una «mania tutta occidentale di dover di dover trasformare ciò che è diverso e lontano da noi in ciò che lo possa rendere più accettabile, comprensibile, più vicino alla nostra cultura e al nostro modo di vivere. Ho provato una profonda e sana invidia per quella gente che sa accogliere lo straniero, che sa sorridergli per strada e salutarlo. Il più grande paradosso – dice Ilaria emozionata – è che spesso si parte con la speranza o la convinzione che arrivati lì trasmetteremo qualcosa di ciò che abbiamo imparato e invece succede esattamente il contrario, sono quei bambini che ti insegnano l’arte del vivere, della condivisione e del sorridere, nonostante tutto».
Ilaria da quella esperienza è tornata più forte e sicura di voler tornare in Africa, in particolare da una bambina, Martha, che sente ormai sua figlia.
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