Il vescovo Attilio Nostro durante la celebrazione eucaristica a Paravati
4 minuti per la letturaNel quindicesimo anniversario della morte di Natuzza Evolo, il vescovo di Mileto Attilio Nostro ricorda la mistica e la porta ad esempio per tutti «per fecondare questa terra calabrese»
MILETO (VIBO VALENTIA) – Il primo novembre 2009 moriva a Paravati Fortunata Evolo, per tutti mamma Natuzza. Aveva 85 anni ed era in quel momento forse la mistica vivente tra le più note al mondo. Ogni anno per ricordare il pio transito della donna di fede, per la quale 10 anni fa ha avuto inizio il percorso di canonizzazione, si tiene a Paravati, principale frazione di Mileto, una celebrazione presso la Fondazione Cuore Immacolato di Maria rifugio delle Anime, la sesta figlia di Natuzza come ella stessa amava definirla. Anche nell’anno in cui Natuzza avrebbe compiuto cento anni la Fondazione ha ospitato una celebrazione eucaristica, presieduta dal vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, Attilio Nostro, in ricordo della donna di fede.
La chiesa del Cuore immacolato di Maria rifugio delle anime, la grande chiesa sognata da Natuzza Evolo, ha quindi aperto le proprie porte per ospitare i devoti provenienti, soprattutto dai territori limitrofi di Mileto, nell’ordine di alcune migliaia per assistere alla celebrazione eucaristica.
«Questa nostra vita – ha esordito il vescovo Nostro – è una preparazione all’incontro, è una tensione, una ascesa verso quell’incontro dove Dio ci aspetta come padre misericordioso con le braccia aperte pronto a stringerci in un abbraccio aperto e misericordioso. Cominciamo questa eucarestia chiedendo perdono al signore per tutte le volte che abbiamo mancato di rispetto a quell’abbraccio paterno. Per tutte le volte che non ci siamo comportati da veri figli, Per tutte le volte che la vita non è stata una ascensione verso il cielo ma una discesa verso il peccato. Chiediamo perdono al Signore per avere un cuore autenticamente pentito e contrito per ottenere il suo perdono».
Nel corso della sua omelia il presule ha riflettuto sulla morte nella concezione cristiana. Soprattutto alla luce del messaggio dato da Cristo sulla croce. «Cristo nel trasformare quel momento di morte in un momento di oblazione di sé e di offerta, trasforma, e la trasforma per sempre, la nostra nemica principale che è la morte». Il vescovo ha ribadito come «per noi cristiani, per noi credenti, la morte è soltanto una soglia. Varcata la quale entriamo nella nostra vera patria che non è la terra ma il cielo. Quella patria dove Dio ci attende, Quella patria dove lo potremo vedere finalmente faccia a faccia. E lì chi ci sta ad aspettare se non i fratelli defunti?».
Il vescovo Nostro ha anche riportato le proprie sensazioni nel celebrare nella chiesa del Cuore Immacolato di Maria rifugio delle anime. «Questo presbiterio, per come è stato pensato, per come è stato realizzato ricorda l’incedere del paradiso, un camminare del paradiso verso di noi. Una unione della terra e del cielo che si è reso presente in maniera speciale in Cristo». Ma anche in Maria madre di Dio, «ed entrambi ci invitano, e questo quest’opera ricorda e simboleggia, a camminare verso di loro». Il presule ricorda a tutti i fedeli che «il signore ci chiede di offrire la nostra disponibilità a diventare suoi figli e diventando suoi figli a diventare santi. Ci invita a deporre qui tutte le nostre idolatrie, tutti i nostri desideri esclusivamente terreni che non hanno niente a che fare con il cielo».
Ogni fedele deve raggiungere la consapevolezza che «Dio non è un distributore di grazie. Dio è una persona con la quale parlare, con la quale entrare in relazione. Con la quale dialogare. Gli altri non possono essere usati in funzione della mia felicità perché ciascuno di noi è nato per l’esatto contrario. Il compimento dell’amore è rinunciare a noi stessi. Rinnegare noi stessi per rendere felici e santi gli altri. Amare noi stessi non è metterci al centro ma metterci ai margini metterci all’ultimo posto, perché è lì che troviamo Dio. Perché Dio sta con gli ultimi non sta con i primi. Dio si è messo al nostro servizio». Il messaggio e l’auspicio, quindi, è «mettiamoci a servire, come Dio, pensiamo alla felicità altrui prima che alla nostra. Allora così potremo fare nostra davvero la lezione bellissima che ci ha regalato Natuzza».
E proprio sulla lezione di Natuzza il presule miletese va a concludere la propria omelia. «Natuzza si definiva un verme di terra, vuol dire forse che Natuzza non si voleva bene? Questo mi state dicendo? Nel definirsi così offendeva se stessa? Direi proprio di no. Perché allora si definiva così? Diceva San Francesco che il verme è una delle cose più utili, senza di quello la terra non diventa feconda. E allora anche noi facciamoci verme di terra, fecondiamo questa terra, rendiamola fruttuosa. Penso a quel bellissimo miracolo di vita dell’esistenza di Natuzza, ma penso anche al beato Mottola, penso ad Irma Scrugli, penso a tante persone che sto imparando a conoscere in questi anni di permanenza tra di voi come vostro vescovo, lasciamo davvero che il Signore, di questi vermi di terra che siamo noi, si serva per rendere feconda questa terra calabrese, questa terra della nostra diocesi».
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