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Il corpo di Re Murat dovrebbe trovarsi sotto la chiesa matrice di Pizzo, per questo è stata aperta la cripta per effettuare un controllo del dna
PIZZO (VV) – La cripta sotterranea del Duomo di Pizzo, dove presumibilmente è sepolto il corpo del re di Napoli Gioacchino Murat, è stata aperta. L’operazione, compiuta con grande discrezione così come aveva chiesto la Diocesi, è il primo passo per giungere con certezza all’identificazione delle spoglie del monarca napoleonico, che nell’ottobre del 1815 fu catturato, imprigionato e ucciso nella città napitina.
Il 30 marzo saranno i carabinieri del Ris a calarsi nella cripta per effettuare prelievi biologici e consentire così il test del Dna. La rimozione di una delle tre lastre di marmo ha consentito una prima indagine visiva per rendersi conto della situazione e verificare la presenza di ostacoli fino alla cassa che si presume contenga i resti di Murat. L’obiettivo è quello di individuare con certezza i resti del sovrano partenopeo, per poi traslarle in un altro luogo di sepoltura. «Murat rappresenta – ha detto il sindaco di Pizzo, Gianluca Callipo – uno dei maggiori motivi di interesse culturale di Pizzo».
Le operazioni si sono svolte alla presenza, tra gli altri, del sindaco Gianluca Callipo, dell’assessore alla Cultura Cristina Mazzei, del presidente dell’associazione Murat Onlus, Giuseppe Pagnotta, e del parroco del Duomo, don Pasquale Rosano. «Sono decine di migliaia, infatti, i turisti – ha aggiunto Callipo – e gli studiosi che ogni anno visitano il Castello Murat, per vedere i luoghi della sua breve prigionia, del processo e dell’esecuzione mediante fucilazione ad opera della gendarmeria borbonica. Recuperare i suoi resti e allestire un nuovo luogo di sepoltura più visibile e visitabile, significherebbe un grande risultato per la nostra città, non soltanto in termini di valorizzazione culturale, ma anche con riferimento alla promozione turistica del territorio».
Questo primo step operativo effettuato oggi, segna il passaggio dalla fase di studio alle operazioni di recupero vero e proprio, così come programmato dal comitato tecnico-scientifico istituito circa un anno fa dal Comune, in collaborazione con l’associazione Murat Onlus. Del comitato fanno parte anche la Sovrintendenza ai Beni archeologici, l’Università di Camerino, il parroco del Duomo e il Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri.
Callipo ha ringraziato per la puntuale collaborazione il capitano dei carabinieri della Compagnia di Vibo, Diego Berlingieri, e il comandante della stazione di Pizzo, Paolo Fiorello. La posizione della cassa di Murat fu individuata alla metà degli anni ’70, in occasione dei lavori per il rifacimento del pavimento della chiesa, quando nella cripta fu calata una macchina fotografica. Le immagini così ottenute mostrarono numerosi resti di corpi umani, tumulati nel corso dei secoli, a conferma della consuetudine di seppellire i defunti sotto le chiese. Tra queste spoglie, fu individuata una bara che corrisponde alla descrizione che alcune cronache dell’epoca fanno dell’ultimo viaggio del re.
In particolare, dopo la fucilazione, il suo corpo venne composto in una cassa di abete che durante il trasporto verso il Duomo cadde sul selciato, rompendosi. Per rimediare all’incidente, fu effettuata una riparazione di fortuna, avvolgendo la cassa con una lunga corda. Ed è proprio su un feretro legato da una corda che si è quindi concentrata l’attenzione dei ricercatori. La certezza si avrà soltanto effettuando la comparazione del Dna con quello dei discendenti che vivono oggi in Francia.
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