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LAMEZIA TERME – I paesaggi, i colori, le usanze di un paese lontano e quasi fuori dal tempo. Poi, l’orrore la distruzione, causati dalla forza implacabile della natura. Ma anche la dignità e l’orgoglio di una popolazione intera, che guarda avanti e pensa soltanto a ripartire. Un vero e proprio viaggio emozionale quello degli scatti di Jacopo Brogioni e del suo progetto fotografico “Bring Back Those Colours” (letteralmente “Ridateci quei colori”), un reportage realizzato in Nepal prima e dopo il violento terremoto (magnitudo 7.8) che il 25 aprile scorso ha devastato il paese asiatico, radendo al suolo diversi centri abitati e causando quasi novemila vittime. Brogioni, 25enne fotografo professionista, nato a Roma da padre umbro e madre calabrese di Spadola in provincia di Vibo Valentia, era stato in Nepal nel dicembre 2014.
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Un viaggio a metà tra il diletto e il lavoro, uno dei tanti che il giovane compie per immortalare, con la sua macchina fotografica, gli angoli più belli in giro per il mondo. «Il Nepal è un paese straordinario – ci racconta Jacopo – mai visti così tanti colori, sembrava un immenso set cinematografico. E poi la gente, calda, accogliente, sempre sorridente». Ad aprile la notizia della tragedia e l’idea di poter mettere a servizio i propri scatti per aiutare quella popolazione. Il contatto con l’Unicef, il ritorno in Nepal per poter rivisitare e fotografare quei luoghi e quella gente cambiate dal sisma nell’aspetto, ma non nello spirito. E poter così riproporre, attraverso quelle foto, un confronto tanto spietato quanto “utile” tra il pre e il post cataclisma. Lo scopo, infatti, è quello di raccogliere fondi, tra donazioni spontanee e la vendita delle opere, da devolvere all’Unicef, a sostegno del popolo nepalese e, soprattutto di quei bambini che, laggiù, costituiscono il 40% della popolazione. “Bring Back Those Colours”, dopo il grande successo ottenuto al Maxxi di Roma e all’Expo di Milano, dal 28 novembre al 6 dicembre sarà in esposizione al Crac (Centro di Ricerca per le Arti Contemporanee) di Lamezia Terme, in Calabria, terra cara al giovane fotografo che ci ha raccontato la sua esperienza e le motivazioni che lo hanno spinto a realizzare questa mostra.
Come nasce l’idea di questo progetto?
«Quando quel 25 aprile mi è giunta la notizia del terremoto, sono rimasto sconvolto. Ero stato lì pochi mesi primi e avevo amato quel paese, i suoi colori irripetibili, i templi, la spiritualità e il calore delle persone. Mi sono chiesto: come poter contribuire? E allora ho pensato a quello che so fare, alle foto, e a come metterle a servizio per una buona causa».
Che situazione ha trovato laggiù?
«L’impatto è stato forte. Quei colori brillanti erano “macchiati” dal grigio e dal marrone delle macerie. Il paese che avevo visto in parte non c’era più, e anche quei posti nuovi che sono riuscito a raggiungere grazie ad alcune spedizioni Unicef erano profondamente devastati. Solo le persone erano rimaste le stesse, pur nella disperazione. Sempre pronte ad accoglierti, a lasciarti in dono un sorriso».
A cosa le è servito ritornare in Nepal?
«È stato un mese durissimo, tanta fatica, tante difficoltà negli spostamenti. Ma ne è valsa la pena, perché quelle nuove immagini hanno dato ancora più forza agli scatti che avevo realizzato nel primo viaggio, e possono aiutare a capire la portata del disastro. E poi, sono ritornato in Italia con tante storie…».
Ce ne racconti qualcuna…
«Penso all’incontro con Bibash, un bambino che, in uno spazio predisposto appositamente dall’Unicef, passava le sue giornate a disegnare immagini del terremoto. Una delle responsabili mi disse che lo faceva per far sì che il terremoto andasse via definitivamente, un modo forse per esorcizzare la paura. E poi mi viene in mente una bimba che mi raccontò come avesse visto morire la mamma e i suoi animali, con una lucidità e una forza che mi lasciò di stucco. Sembrava quasi un’adulta. Solo quando le chiesi cosa avrebbe voluto fare in futuro, scoppiò a piangere…».
Già, il futuro. Che idea ha quella gente del proprio futuro?
«Non sarà facile ritornare alla normalità, ma i nepalesi hanno dalla loro una forza d’animo incredibile. Non vogliono parlare di quanto accaduto e guardano avanti. Ho visto persone che cercavano tra le macerie qualche mattone ancora buono per poter ricostruire la loro casa con le proprie mani. Noi, che ci reputiamo del “primo mondo”, abbiamo in realtà tanto da imparare da questo popolo».
I suoi lavori arrivano ora a Lamezia. E dopo?
«Dopo questa terza tappa del tour, ritorneremo a Roma, poi saremo a Messina e a L’Aquila, altre città che col terremoto, purtroppo, hanno una certa familiarità. Prevista poi un’esposizione in Russia e anche in Calabria, probabilmente, faremo ritorno nei prossimi mesi».
La Calabria è in parte la sua terra…
«Sono legatissimo a questa regione, torno ogni anno per passare le vacanze e per far visita ai parenti a Spadola. E poi ho casa a Pietragrande, nel Soveratese. Non vedo l’ora di essere lì e gustarmi nuovamente il mare dalla mia finestra, uno spettacolo impareggiabile».
Prossimi progetti?
«C’è in cantiere un lavoro che riguarda la Corea del Nord. Un paese difficile, isolatissimo, ma al contempo con un fascino assoluto. Sono stato lì due anni fa e dovrei ripartire a breve, giusto il tempo di sbrigare le tante pratiche burocratiche. Verrà fuori un’esposizione che si chiamerà “Still of North Corea”, un lavoro nel quale credo molto».
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