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«BELLA è bella, questa statua romana. Epperò, senza naso… No, grazie. Cercate qualcos’altro. Nel frattempo ci teniamo l’Apollo». Parafrasando è quanto, incredibilmente, la soprintendente archeologica della Calabria, Simonetta Bonomi, si è sentita rispondere dal Princeton Museum quando, dopo quattro anni di trepidante attesa, si era già pronti a “preparare la festa” a Reggio Calabria per riaccogliere con i dovuti onori la pregevole Testa di Cirò, con quel volto greco di rara eleganza che ha fatto incetta di visitatori negli States. A prestito scaduto, però, succede che dagli Stati Uniti fanno sapere che per restituire la preziosa testa è necessario avere in cambio un altro reperto. Bene. Soprintendente e archeologi si lambiccano il cervello per trovare un pezzo importante ma che, ovviamente, non faccia parte dell’allestimento dei musei calabresi. E, a malincuore, visto il pregio e la bellezza della Testa femminile di Vibo, la scelta cade su questo busto nero di rara fattura, con una cascata di riccioli finemente “intagliati” nel basalto.
E cosa si sentono rispondere i calabresi “donatori” dai “cugini” americani? «No, grazie. Senza naso non la vogliamo». Risultato: l’Apollo Alaios resta “in ostaggio” negli States, finchè la contropartita non sarà gradita . La vicenda, bizzarra, ha anche un retroscena ancora oscuro: «Il prestito è ampiamente scaduto – ci dice la soprintendente Bonomi – perchè era fissato in quattro anni, e troviamo assurdo che si voglia ora tacitamente rinnovato. Di questo – aggiunge – chiederemo lumi, anche se sappiamo già, per esperienza, che in questi casi c’è poco da fare. La contropartita per il Paese è molto alta». Storia nota, ormai, quella degli scambi di opere d’arte Italia-Stati Uniti. Quando, infatti, nel 2010 scoppiò il caso, con la partenza di altri reperti da Reggio alla volta di Cleveland, sentimmo i funzionari del ministero per i Beni culturali, che a domanda risposero: «Si tratta di iter molto complessi e di trattative che durano anni – dissero – tanto che una volta stipulato l’accordo è impossibile tornare indietro perché questo potrebbe mettere in dubbio l’affidabilità dell’Italia e compromettere le trattative in corso». Tra le “trattative” c’è, per esempio, la restituzione al nostro Paese delle opere trafugate nei decenni e poi vendute ai Musei americani, come il “famigerato” Getty. Alla soprintendente abbiamo allora chiesto come mai l’opera debba partire necessariamente dalla Calabria. Ed ecco la sorprendente scoperta: «In realtà solo due soprintendenze inviano opere per questi accordi – ci dice – e cioè quella calabrese e quella di Salerno».
Insomma, pare che questi intoccabili accordi tra le due Potenze, a base di opere d’arte, poggino pressochè unicamente sulle spalle del bistrattato Sud dei crolli e dell’abbandono. Al paradosso, ora, si aggiunge la beffa. Perché con tutto quello che c’è da fare (Museo archeologico compreso, ancora in attesa, con i Bronzi in locazione al Consiglio regionale, che la delibera Cipe arrivi alla Corte dei Conti e la Regione sganci i cinque milioni) gli archeologi di casa nostra devono anche fare la “caccia al tesoro” per cercare un’opera che possa ora garantire il “riscatto” dell’Apollo. Una storia, questa, iniziata quattro anni fa con il prestito alla Princeton University Art Museum. Il prezioso acrolito del 440-430 a.C. in marmo greco proveniente dall’interno della cella del tempio di Apollo Alaios di Cirò era stato inviato a Princeton con un decreto siglato dall’allora ministro Rutelli. Si trattava del famoso “Pacchetto-Rutelli” con cui si riusciva a far rientrare in Italia un cospicuo numero di opere dal Getty di Los Angeles”. La testa di Vibo non è “piaciuta” senza naso. Eppure per gli studiosi è un raro documento “della produzione artistica romana a Vibo Marina, ritrovato in un insediamento, forse una ricca villa, molti anni fa e realizzato con materiale dell’Africa del Nord”. Quando si avviarono i lavori della Casa dei Guerrieri proprio l’assenza annunciata dell’Apollo rappresentò l’amarezza più grande. Ora sul naso della Testa di Vibo si gioca il ritorno dell’opera per l’apertura del Museo.
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