Palazzo dei Normanni, sede del Comune di Mileto
3 minuti per la letturaMILETO – Il Consiglio di Stato mette la parola fine alla querelle nata all’indomani delle elezioni amministrative per il rinnovo del consiglio comunale di Mileto e l’elezione del sindaco che hanno visto vincere la compagine che sosteneva il sindaco Salvatore Fortunato Giordano quando il consigliere di minoranza e candidato sindaco uscito sconfitto dalla tornata elettorale, Gianfranco Mesiano, aveva fatto ricorso chiedendo l’annullamento della tornata elettorale perché sui manifesti elettorali il suo nome era sbagliato (“Gianfranco Vincenzo Mesiano” al posto di “Gianfranco Mesiano”).
Il Tar in prima istanza (LEGGI) aveva bocciato la richiesta di Mesiano per questioni tecniche sulla tempistica del ricorso. A quel punto Mesiano ha preferito chiudere la battaglia legale e iniziare la sua attività politica in Consiglio comunale. Tuttavia un cittadino, Vincenzo Nicolaci, che aveva firmato con Mesiano il primo ricorso aveva deciso di appellarsi al Consiglio di Stato (LEGGI)
Lo scorso 5 marzo si è tenuta l’udienza innanzi alla suprema magistratura amministrativa che ha definitivamente chiuso la questione rigettando il ricorso di Nicolaci che si era appellato sostenendo che «la giurisprudenza dalla sentenza di prime cure sarebbe relativa a casi antecedenti l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo», oltre che sostenere che«il manifesto elettorale, così come qualsiasi altro atto pubblicato nell’albo pretorio di un Ente, resta affisso a quest’ultimo per il periodo previsto dalla legge di giorni 15, al solo scadere del quale può dirsi perfezionata la funzione di pubblicità che gli è propria così come la conoscenza dello stesso».
Anche il Comune di Mileto, difeso in giudizio dall’avvocato Pietro Proto, aveva proposto appello chiedendo la correzione «della sentenza nella parte in cui la stessa cita il termine di trenta giorni anziché quello di tre previsto
dall’art. 129 c.p.a., asseritamente applicabile», chiedendo inoltre di bocciare il ricorso di Nicolaci in quanto «la proposizione dell’appello da parte del solo elettore equivale a rinuncia a gravame da parte del candidato sindaco» e «la tipologia dei vizi e del provvedimento impugnato escluderebbe l’interesse ad agire e la legittimazione attiva dell’attore popolare».
Secondo i giudici del Consiglio di Stato, l’appello di Nicolaci è «infondato nel merito», al di là della questione dei termini temporali del ricorso. Ciò in quanto «difettano, nel caso di specie, i presupposti sostanziali “suscettibili di determinare incertezze in un elemento essenziale della libera espressione del voto, falsandone il relativo processo formativo” (secondo quanto chiarito da Consiglio di Stato n. 3244/2003)». Cioè per il Consiglio di Stato l’errore nel manifesto non avrebbe creato alcuna confusione negli elettori.
Questo perché «il manifesto, rispetto al quale non risulta che il candidato sindaco abbia mostrato preoccupazioni tradottesi in pronte e formali segnalazioni o richieste di rettifica, contiene il nome e il prenome del candidato, senza errori, ai quali è soltanto aggiunto l’ulteriore prenome “Vincenzo”. Non risultano altri candidati con nome e prenome simile, tali da indurre in confusione l’elettorato». Inoltre «nelle schede è stato indicato, all’interno del simbolo, quale Sindaco candidato nella sua lista di appartenenza “Ripartiamo Insieme”, solamente il cognome “Mesiano” correttamente riportato, e a tergo Mesiano Gianfranco Vincenzo. Non può seriamente ipotizzarsi, secondo
l’id quod plerumque accidit, che la semplice aggiunta di un ulteriore nome di battesimo (vero o falso che sia), in un comune così piccolo, possa avere indotto gli elettori intenzionati a votare la Lista “Ripartiamo Insieme” a non votare, o a votare scheda bianca».
Tra l’altro per i magistrati neppure «i dati indicati dall’appellante (schede bianche 41 e nulle 71) possono essere indicativi dell’asserito disorientamento creato dalla non conforme
indicazione del nominativo del candidato a sindaco. Dinanzi alla molteplicità e imponderabilità delle cause che posso avere indotto parte degli elettori a lasciare in bianco la scheda, non è consentito né verosimile sostenere che vi possa essere un collegamento significativo e univoco tra in denunciato errore e il comportamento degli elettori».
Di conseguenza «l’appello deve essere respinto», e questa decisione comporta anche «l’improcedibilità, per difetto di interesse, dell’appello incidentale proposto dal Comune».
In chiusura il collegio, formato da Roberto Garofoli, (Presidente), Giulio Veltri, (Consigliere, Estensore), Paola Alba Aurora Puliatti, Giovanni Pescatore ed Ezio Fedullo, (Consiglieri, ha disposto la compensazione tra le parti delle spese.
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