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Silvio Greco, vicepresidente della Stazione Zoologica Anton Dohrn

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Il biologo marino Silvio Greco, vicepresidente della stazione Anton Dohrn, fa un’analisi sulle condizioni di mare e fiumi in Calabria denunciando bombe ecologiche e richiamando la politica alle proprie responsabilità


VIBO VALENTIA – Con la stagione estiva in corso, il fenomeno del mare sporco resta una costante consolidata nel tempo Ma la presenza di due bombe ecologiche da disinnescare non fa dormire sonni tranquilli. Ad intervenire sulla questione è il biologo Silvio Greco, vicepresidente della Stazione zoologica Anton Dohrn con sede ad Amendolara (Cs) che chiama la politica ad una assunzione di responsabilità.

Dottore Greco, come ogni estate torna, puntuale, il problema del mare sporco o inquinato. Ormai ci dovremo convivere per sempre?

«Purtroppo se non cambia la mentalità degli amministratori locali e dei privati cittadini, nonché degli imprenditori, devo rispondere affermativamente alla sua domanda».

Lei è vicepresidente della Stazione zoologica Anton Dohrn e da qualche anno ha intensificato i controlli sul mare calabrese, forte anche del protocollo d’intesa siglato con alcune Procure: la prima quella di Vibo col dott. Falvo, cui seguì l’Ufficio di Lamezia guidato dal dott. Curcio. Come sta procedendo?

«Il lavoro è proficuo ma la situazione riscontrata non è certo rosea, però qualche cambiamento, di mentalità e quindi della situazione ambientale, lo abbiamo riscontrato e questo fa piacere. Grazie alle nostre attività, con migliaia di analisi svolte su tutti gli 800 km di costa calabrese, con centinaia di ricognizioni in volo, abbiamo trovato una media elevata di scarichi illegali ma soprattutto di privati che hanno le case al mare, di piccole aziende, di stalle con animali, che sversano reflui, escrementi, concimi, e quant’altro nei torrenti senza sottoporli ad alcun trattamento. Ma anche alcune attività turistiche non sono da meno».

GRECO SUL MARE IN CALABRIA: «DUE BOMBE ECOLOGICHE DA DISINNESCARE»

Quindi si sfata in parte il “mito” secondo il quale sono per lo più le grosse aziende ad inquinare?

«Per quanto riscontrato sì. Poi chiaramente ci sono anche queste ma in misura minore anche perché è più facile controllarle. Ma ad esempio per un piccolo frantoio o una stalla diventa molto tutto più difficile. Noi abbiamo due “bombe” da disinnescare. La prima è quella nella parte di costa dall’ex Sir di Lamezia a Pizzo dove si riscontra il fenomeno dell’acqua verde. Ebbene, quelli sono sempre nutrienti derivati dai concimi. Quindi dobbiamo continuare ad esplorare il territorio. E in questo un apporto fondamentale proviene dalle Procure come quella di Vibo. Se un autospurgo, in un anno di lavoro, fa solo quattro fatture cosa significa?».

Parlava di due bombe ecologiche per il mare in Calabria. L’altra qual è?

«Il fiume Mesima. Qui si innestano una trentina di Comuni non collettati e chiaramente la situazione in quell’area la conosciamo bene tutti. Ma in Calabria ci sono anche altre aree che vivono la stesso problema. Il Catanzarese ha una miriade di comuni non collettati, idem Reggio Calabria. Quindi il problema è su scala regionale. Bisogna capire che il mare è uno soltanto e noi dobbiamo tutelarlo ed è per questo che sottolineo sempre la responsabilità dei cittadini e degli amministratori che hanno in capo il settore della depurazione».

Restando in tema di bombe ecologiche per il mare in Calabria, parliamo un attimo di Vibo. Tiene banco il torrente Sant’Anna che sta continuando a sversare a mare. L’altro giorno è emersa una chiazza marrone a Bivona, a seguito delle piogge della notte precedente. A suo parere il problema dove si forma?

«A mio parere al depuratore di località “Silica”, a monte. Esso ha un problema strutturale molto serio che si porta in dote fin da quando è stato realizzato e anche il “revamping” eseguito negli anni ’90 non ha fatto altro che peggiorare le cose: in sostanza si trova su una frana a scorrimento».

Ma c’è il rischio che si lesioni o peggio che collassi?

«No, questo no, perché il processo è molto lento però chiaramente non è un terreno stabile. Il problema è che “Silica” ormai non ce la fa più a gestire tutta la mole di acque reflue. A mio avviso, dunque, andrebbe chiuso e far convogliare le acque all’impianto di Portosalvo che però dovrà essere potenziato e servito da una linea totalmente dedicata. D’altronde, questo è il ragionamento che venne fatto a suo tempo nel momento in cui si era parlato di potenziare proprio quest’ultima struttura e andava nella direzione della chiusura di quello di “Silica”. Pertanto, la mia proposta è questa e ritengo essere l’unica percorribile». 

Chiaramente la condotta da “Silica” a valle è sotterranea, quindi nessuno si può immettere, tuttavia i  liquami arrivano lo stesso a mare.

«Esatto, proprio perché ormai quest’impianto è inadeguato. Tra l’altro è stato negli anni oggetto di lavori di ristrutturazione, gli ultimi proprio in questi mesi e poi c’è anche un altro problema. Bisogna assolutamente prendere in mano in modo serio e concreto il tema dei collettamenti. Noi parliamo da anni di questa situazione ma senza che sia mai stata risolta quindi è inutile prendersi in giro. Ad esempio in zona ‘Cancello rosso’, a Vibo, dove non ci sono collettamenti alla rete fognaria e il risultato è che i reflui scaricano nei fossi e tramite essi arrivano a mare o finiscono nei terreni agricoli dopo aver superato la Silica che non riesce a smaltirli».

Però la Regione Calabria ha messo a disposizione in questi anni fior di milioni di euro. Cosa non ha funzionato?

«Che sono stati spesi male o non spesi proprio. Quindi, le amministrazioni comunali, devono lavorare sodo perché poi è inutile, ed anche ipocrita, piangersi addosso».

In questo periodo, com’è noto, Legambiente diffonde i dati sullo stato del mare e anche quest’anno in Calabria, al netto delle due bombe ecologiche da lei identificate, non sono positivi.

«Allora, voglio premettere una cosa: io ho massimo rispetto per l’associazione ambientalista e per Goletta Verde, tuttavia devo dire con chiarezza che qui viene scattata una fotografia che riguarda solo 24 punti, quindi molto ridotta, mentre la Stazione Anton Dohrn negli ultimi tre anni ha svolto controlli in oltre 250 aree di campionamento e su queste, nel corso dei mesi, ha fatto migliaia e migliaia di esami scoprendo che la situazione è diversa».

Vale a dire? Non concorda con i loro risultati?

«Certamente no. Intanto, i nostri ci dicono che le aree di difficoltà riscontrate in Calabria si attestano al di sotto del 25%. In secondo luogo invito tutti ad andare a visionare il dato del ministero della Salute rispetto alla balneabilità. Legambiente parla del 60% dei 24 campioni che hanno fatto, quindi la comunicazione è scorretta in quanto loro non dicono che buona parte di questi campioni sono fatti in siti: foci, torrenti e via discorrendo dove già vige un divieto di balneazione. Ma il messaggio che arriva è che il 60% delle acque marine calabresi è fuori norma».

Allora cosa propone?

«Intanto non si possono fare uscite con elementi parziali perché si fa un danno alla regione, perché il turista di Torino o di Roma, quando legge quel dato chiaramente da noi non viene. Io credo, dunque, che bisogna avere un po’ di sensibilità, specialmente nel momento in cui  i colleghi di Goletta Verde hanno una fotografia di quell’attimo, quindi parziale perché la situazione del mare è in continua evoluzione, non si cristallizza».

Lei, diceva, che nel momento in cui viene riscontrato un problema si informano la magistratura inquirente e le forze dell’ordine. Ma ha notato qualche cambiamento?

«Qualche effetto c’è stato. Nell’area industriale di Portosalvo, e in quelle limitrofe, ad esempio, dopo questa nostra attività circa 80 aziende si sono regolarizzate. Un grande risultato. Questo ci esorta a continuare nel nostro lavoro che deve essere di prevenzione, sensibilizzazione e, laddove serve, repressione».

Chiaramente, sulla tutela del mare in Calabria, è indispensabile una sinergia tra varie realtà per evitare potenziali bombe ecologiche come quelle descritte.

«Guardi, noi i problemi li conosciamo benissimo ma non possiamo certo risolverli da soli: ci vuole la presenza di Regione, Province, Comuni ma anche di altri enti nonché delle attività commerciali e dei privati cittadini, perché se per i primi la depurazione insiste solo per il 40-42%, per le attività delle ultime due voci la percentuale sale al 58-60».

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