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Francesco Cascasi

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Francesco Cascasi, un Restante Pendolare, si racconta: “Ventidue anni dopo ho avuto paura di altri ostacoli”


Francesco Cascasi è un Restante Pendolare, una storia che accende rabbia e ammirazione. Guida insieme ai fratelli l’Eurocontrol, un’azienda impegnata nel campo della sicurezza, manutenzione e certificazioni dei grandi impianti: gasdotti, metanodotti. Sede a Vibo e personale calabrese al 90%, commesse ovunque. Lui è nato nel ’58, lavora da quando aveva 19 anni: un self made man dalla voce pacata e ferma. Cascasi ha girato l’Italia con il libro “Nonostante tutto” scritto insieme a don Ennio Stamile di Libera. Il comune di Firenze lo ha premiato con il “Giglio d’oro” e lo ha nominato “Ambasciatore della Legalità”.

Ha mai avuto la tentazione di andarsene?

“Non l’ho mai pensato, ma nel 2001 ho dovuto portare fuori la mia famiglia. Dovevo metterli in sicurezza, siamo andati a vivere in Emilia. Da allora io vivo dal lunedì al venerdì in Calabria, poi torno al Nord”.

Perché lo ha fatto?

“Sono stato avvicinato da Pantaleone Mancuso “Scarpuni”, voleva entrare in affari con me al porto di Vibo. Mi disse che altrimenti non avrei mai avuto la concessione dei pontili”.

E lei?

“Ho denunciato, come abbiamo fatto sempre. Non abbiamo mai ceduto. Solo che quel nome, a quei tempi, faceva paura, nessuno aveva il coraggio di pronunciarlo”.

E oggi?

“Oggi è diverso, lo Stato si è dedicato alla Calabria. Oggi respiriamo. Non ci siamo mai arresi alle intimidazioni”.

E i pontili?

“Ho avuto la concessione sei mesi fa, ci sono voluti ventidue anni”.

Un tempo enorme, si è sentito solo?

“Solo e abbandonato, in certi momenti. Ma non ho mai chiesto protezione”.

Campione di ostinazione.

“Non era importante la concessione a quel punto, ma lo Stato di diritto. Ho speso tanto e passato molto tempo nei tribunali. Più volte ho incontrato Questore e Prefetto, mi hanno detto di stare tranquillo”.

Come ha conosciuto don Ennio Stamile?

“Io sono credente, ho superato dei momenti di disperazione parlando con un colonnello dei carabinieri, e da lì sono poi arrivato a Libera. Il 2016 e il 2017 sono stati anni durissimi, i tempi dell’inchiesta Costa Pulita”.

Come hanno reagito i suoi dipendenti alle minacce?

“In tutto arriviamo quasi a 250 persone, nove filiali… Abbiamo anche un’azienda agricola, siamo presenti nella ristorazione e nel turismo. Ho sentito i lavoratori dalla mia parte, siamo una grande famiglia e siamo concentrati tutti sullo stesso obiettivo”.

Ora si sente protetto?

“Vedo una maggiore presenza delle forze dell’ordine sul territorio, ma la situazione non mi convince. Temo che si possa ricomporre un’alleanza mafiosa. Ma per continuare a lavorare abbiamo bisogno di garanzie. Non mi sento tranquillo al cento per cento, e non è una vita facile”.

Torniamo ai pontili, 22 anni dopo.

“Il Gruppo ha in atto il progetto di sviluppo ‘Marina Resort’ che vale 25 milioni, sostenuto da Invitalia, nel porto e nell’area industriale di Vibo”.

I posti-barca che la Calabria non ha.

“283 per la precisione, con boutique e servizi. 15 milioni di investimento. Poi 3,6 per il cantiere nautico nell’area di Porto Salvo. Altri 3,6 per un hotel. Il resto per la ristrutturazione del ristorante e del Lido nel retroporto”.

Tutto bellissimo, però?

“Però resta la perplessità e la paura, non sto parlando solo dei mafiosi. Penso alla burocrazia inquinata, alla borghesia collusa. Basta un tecnico a mettere i bastoni fra le ruote per motivi oscuri, e tutto si ferma. Non vorrei aspettare altri ventidue anni”.

Che posto è Vibo?

“Un luogo stupendo dove vivere, dove coltivare e raggiungere degli obiettivi. Io ci sono riuscito, nonostante tutto. Madre Natura ci ha dato bellezze uniche”.

Non è tutto.

“Vibo è anche la città della massoneria deviata, con 700 aderenti. Con i circoletti che arrivano a condizionare anche i rappresentanti delle istituzioni”.

Consiglierebbe a un imprenditore di investire in Calabria?

“Non saprei, di sicuro abbiamo bisogno di garanzie sul territorio. Creiamo posti di lavoro, togliamo forza ai criminali”

Le è pesato far crescere le sue tre figlie al Nord?

“Mi è pesato partire e tornare ogni settimana, vedere loro che costruivano il loro mondo e le loro relazioni lontano da qui”.

E che dicono oggi?

“Ci sono amici che mi consigliano di lasciar stare. Ancora qualche anno e dovremo pensare a un ricambio generazionale dell’azienda. Dalle mie figlie la domanda è sempre la stessa: ne vale la pena?”

E lei cosa risponde?

“Questa terra è la mia terra, io vivo qui. E mi fa dire un’ultima cosa? Sono le difficoltà a renderci speciali. Ho incontrato ovunque grandi menti calabresi, abbiamo queste grandi capacità che poi si perdono per il mondo. Facciamoli tornare”.

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