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L'ospedale di Vibo Valentia

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Da oggi la Calabria è passata da zona rossa a zona arancione. Una riduzione delle restrizioni dovute alla pandemia di Coronavirus che ha consentito, tra le altre cose, la riapertura dei negozi.

In relazione a quest’ultimo aspetto a Vibo Valentia città, nel corso della giornata, un’auto (su incarico, sembra, dai “Commercianti di Corso Vittorio Emanuele III”) con un messaggio per i cittadini informava dell’apertura dei negozi, implicitamente invitando ad uscire per effettuare acquisti.

Ma l’iniziativa e, più in generale, l’effetto “liberi tutti” che sembra aver permeato parte della popolazione non sono affatto piaciuti alla dottoressa Marianna Rodolico, medico anziano in servizio presso il Pronto soccorso dell’ospedale di Jazzolino di Vibo Valenta.

«Udite, udite – scrive il medico sulla sua pagina Facebook – per le strade di Vibo Valentia si comunica ai cittadini, con megafono, che i negozi del centro, da oggi resteranno aperti. Abbiamo salvato l’economia, evviva! Come se il problema fosse solo questo. È veramente ridicolo, da incoscienti, da sciocchi, voler dire ai cittadini, uscite, comprate, spendete, il pericolo è scampato! Mai e poi mai avrei pensato di sentire, aprendo la finestra, una macchina con altoparlante e un signore che invoglia ad uscire, a comprare, a passeggiare, quando appena ieri in Calabria ci sono stati 13 morti, uno a Vibo e uno il giorno prima, sempre a Vibo Valentia abbiamo 18 ricoverati in posti creati in più per l’emergenza coronavirus e per la quale è sparito il reparto di medicina, convertito in posto letto per malati covid».

È durissima la dottoressa Rodolico che punta il dito contro chi in questo momento sembra più attratto da impegni che potremmo definire futili piuttosto che dal dramma che si sta vivendo: «Ma di cosa vogliamo parlare – prosegue – di spese, di cenoni, di feste? Con quale coraggio quando la gente muore e non riusciamo a curare, quando gran parte dei positivi vengono scoperti in ritardo, quando il territorio non riesce più a tracciare i contagi spesso mascherati dagli stessi pazienti, con quale coraggio usciamo gridando uscite e comprate che la guerra è finita».

In questo momento «credo che ognuno di noi debba dare prova di responsabilità e coscienza, che metta la salute propria e comune in primo ordine e rispetti le regole, evitando comportamenti anomali per il periodo». Bisogna capire che «il virus non è finito, anzi, gira libero tra noi e colpisce indisturbato dalla nostra inconsapevolezza e dal nostro menefreghismo, uccide, danneggia, frustra le nostre abitudini e la nostra vita, non diamogliela vinta».

Da medico Rodolico evidenzia come «le difficoltà sono enormi in ogni angolo della gestione sanitaria, e chi non le vive neanche le immagina. Difficoltà che vanno dal territorio al reparto, dal tracciamento, al trasporto, alla diagnosi, al ricovero, al posto letto, alla carenza di mezzi e di uomini, senza entrare nei dettagli, difficoltà di una realtà calabrese».

E non bisogna dimenticare «che oltre al coronavirus esistono anche le altre malattie, i traumi, gli incidenti e quindi, dove sistemare, questi altri malati? Come curare – si chiede il medico – quando il personale è in gran parte impegnato per il virus? Facciamoci due domande e cerchiamo di essere ragionevoli, evitiamo di pensare che il problema sia sempre dell’altro e che, mai come in questo caso, l’altro siamo noi».

In conclusione l’appello della dottoressa è «ad utilizzare il cervello, perché ce l’abbiamo, da calabresi testardi, governati e maltrattati da un susseguirsi di amministrazioni “fai da te, o meglio fai per te”, utilizziamo il cervello e soprattutto la nostra coscienza, il buon senso, lo spirito di comunità e alleanza. Collaboriamo per la nostra società altrimenti non ne veniamo fuori e sarà un eccidio, mettiamoci bene in testa che ai nostri politici, di qualsiasi colore e grado, non gliene frega nulla, ci tappano la bocca, ci fanno vedere solo le cose che a loro convengono e il male va avanti, qualcuno si arricchisce, ma tanti altri muoiono e pagano per loro e così non è giusto».

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