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L'ospedale Jazzolino di Vibo Valentia

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SAN COSTANTINO CALABRO (VIBO VALENTIA) – Alla fine la cura le è stata somministrata, ma tante le umiliazioni e le mortificazioni a cui è andata incontro la signora Felicia Grasso, che, a causa di seri problemi di salute, deve sottoporsi periodicamente a delle flebo per ristabilire i valori del ferro nel sangue. «Fino all’anno scorso – inizia il suo racconto – tutto è andato bene, quando avevo bisogno mi recavo all’ospedale di Vibo e mi sottoponevo alle somministrazioni di ferro secondo un programma stabilito dai medici che poteva durare anche molti giorni».

Questa volta, invece, le cose non sarebbero andate nel verso giusto, almeno nella parte iniziale, quella burocratica. Felicia si reca dall’ematologo con i risultati delle analisi e questi, come altre volte, le prescrive delle flebo a base di ferro. «Ma quando sono andata in ospedale per prenotare – dice – mi è stato riferito che non era possibile per mancanza di medici». A quel punto, anche per scongiurare io rischio di coma, non le restava che rivolgersi all’ospedale “Papardo” di Messina, dove l’aveva indirizzata lo specialista ematologo. «Ma questa soluzione – continua il racconto – mi avrebbe comportato una serie notevole di disagi, perché sarei dovuta andare per 23 giorni a Messina, tante erano le sedute di flebo prescritte, oppure trasferirmi lì in qualche albergo per tutto il periodo necessario, con tutte le conseguenze, anche di carattere economico, a cui sarei andata incontro».

Che fare dunque? Per la donna le cose incominciano a complicarsi «anche perché – spiega ancora la signora – si tratta di farmaci particolari che non si trovano in commercio, ma sono forniti solo dal Servizio sanitario nazionale e da somministrare esclusivamente sotto la rigorosa sorveglianza di un medico, perché in caso di errore nel dosaggio il paziente potrebbe andare incontro a shock anafilattico». Una vicenda che, come si diceva, alla fine in qualche modo si è risolta. «Ma solo perché all’interno dell’ospedale Jazzolino conoscevo una dottoressa che ha preso a cuore il mio caso – dichiara Felicia – e mi ha fatto andare nei giorni e negli orari concordati, somministrandomi le flebo per i giorni stabiliti dallo specialista ematologo. Per adesso ho risolto il problema grazie alla grande umanità della dottoressa – confida la signora – ma confesso che mi sono sentita quasi una clandestina, eppure si trattava di un mio sacrosanto diritto, quello alla salute».

E’ proprio perché non si abbia ad elemosinare un diritto che Felicia ha deciso di rendere pubblica la incresciosa vicenda che l’ha vista suo malgrado protagonista. «Ho voluto raccontare il mio caso – conclude – per evitare che altri non abbiano a sopportare i disagi e le mortificazioni che ho subito io per avere garantito un diritto, non è giusto che per essere curati occorra avere degli “agganci” in ospedale, l’assistenza sanitaria non deve essere privilegio di chi ha delle conoscenze, ma di chiunque si trovi in situazioni di sofferenza».

Parole garbate ma decise, quelle della signora, che non accusano nessuno, ma fanno un po’ di luce nell’ingarbugliato mondo della sanità con un unico obiettivo, quello di riconoscere al paziente dignità.

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