L'inchiesta della Dda di Firenze vede coinvolti due vibonesi
INDICE DEI CONTENUTI
Dalle carte dell’inchiesta della Dda di Firenze emerge il presunto progetto di omicidio ad opera di due indagati vibonesi nei confronti di una persona, destinataria di uno schiaffo, allo scopo di prevenirne l’eventuale vendetta
VIBO VALENTIA – La causale del progetto di omicidio sarebbe riconducibile alla gestione del traffico di droga in terra toscana, secondo quanto risulta dagli atti dell’indagine antimafia condotta dalla Dda di Firenze, che ha visto indagati anche soggetti vibonesi. Tuttavia, tale volontà rimase senza seguito anche per via dell’arresto di uno dei due.
CHI SONO I VIBONESI INDAGATI NELL’INCHIESTA DELLA DDA DI FIRENZE
La vicenda vede coinvolti gli indagati Giuseppe Foti, 47 anni, detto “Peppone/Buddha”, nato a Catanzaro, residente a Bad Waidsee, domiciliato Stefanaconi, e Pasquale Conidi, 59 anni, di Stefanaconi, residente a Impruneta (FI), organizzatore sulla piazza fiorentina dello smercio di cocaina, con il compito di riservare varie forniture di stupefacente e quindi di piazzarle alla propria clientela.
LE RICOSTRUZIONI DELLA DDA DI FIRENZE SUI VIBONESI: LO SCHIAFFO DI FOTI A SAVERIO MAISANO
La vicenda – ricostruita dettagliatamente dalla Dda di Firenze – risale all’estate del 2021 quando uno degli indagati vibonese, segnatamente Foti, avrebbe subito un affronto da Saverio Maisano (destinatario della reazione del primo che gli sferrò uno schiaffo) genero di Nicola Bartolotta (non indagato), “ex capo della disciolta ’ndrina di Stefanaconi, oggi confluita nella famiglia Bonavota”, con cui il primo avrebbe avuto in passato problemi di concorrenza commerciale nel traffico di droga anche se i contrasti poi sembravano essersi appianati. Conidi apprende la circostanza dallo stesso Foti, il quale teme una ritorsione, e ritenendo lo screzio un protesto per riattivare lo scontro nella gestione dei traffici di droga si attiva preparando immediatamente una reazione armata su input del presunto sodale.
E quindi, per dare seguito alle proprie parole, si sarebbe rivolto ad una persona di Mileto (non indagata) che gli avrebbe fornito una pistola cal. 7,65 con matricola abrasa ed il relativo munizionamento di 20 proiettili del medesimo calibro (Conidi: “Peppone ha avuto una discussione… mò… questo pomeriggio sta arrivando un mio amico, da Mileto… forse ce l’ha (…) ah, il figlio di Maisano (…) i motivi… perché questo qui si è montato la testa e Peppe ha fatto bene… gli ha mollato una mascata e questo (inc.le)… è di ieri sera… gli ho detto “cugino alla fine che hanno loro? Due pistoline… le troviamo… I fucili ci sono…” mi ha detto Gianfranco… “Prenditene uno, due”, però… lui dove lo mette il fucile? Se deve uscire… le pistole anche a comprarla, mica uno le vuole prestate… quant’è? Tieni i soldi”).
CONIDI: “QUESTO ME LO FACCIO IN PIAZZA” E L’ACQUISTO DELLA PISTOLA
A supportare il progetto di vendetta di Conidi una conversazione tra questi e un certo Giovanni (“….perché io ero incazzato forte, Giovanni… credimi… ma ero incazzato forte… io ho avuto i conflitti a fuoco con l’auto… coi portavalori… figurati se penso a questo cretino… io me lo faccio in piazza… non ha capito un cazzo… questo scemo… non è quello il problema…) evidenziando che gli attriti esistenti tra Foti e Saverio Maisano deriverebbero dall’egemonia, che entrambi vorrebbero avere, sul traffico di stupefacenti.
Conidi dopo aver raggiunto Monteleone a Mileto prende visione di due pistole tra le quali una cal. 357, affermando che quest’ultima era proprio la sua arma “personale” tant’è che alla vista esclama: “Questa è bella… io sono innamorato di questa… il cane esterno”, tanto che l’interlocutore gli propone di acquistarle entrambe per la somma di 4.000 euro ma lui pare volerne ritirare solo una a causa dell’elevato prezzo richiesto. Alle ore 17.19 successive, i due occultano la pistola ritirata all’interno di un vano “segreto” presente nell’autovettura monitorata, dopodiché si salutano con l’accordo di rivedersi il giorno seguente per il ritiro di un’altra arma da fuoco.
L’ARRESTO DI UNO DEGLI INDAGATI VIBONESI BLOCCA L’EVENTUALE OMICIDIO
Conidi verrà poi fermato, il 14 agosto 2021, nel Comune di Sant’Onofrio e l’auto perquisita con il rinvenimento del vano segreto al cui inferno viene rinvenuta una 7,65 con matricola abrasa e 20 proiettili e per quel fatto per l’indagato verrà arrestato. Al momento dell’arresto risulta avere un telefono criptato che viene resettato da terzi soggetti a distanza già nelle primissime fasi della cattura, quindi da individui entrati in possesso di tale notizia fin dai primissimi momenti del fatto, ed è in possesso di un veicolo dotato di vano occulto, evidentemente già presente da tempo e quindi non appositamente creato per il trasporto dell’arma, quanto piuttosto della famosa polvere evocata in alcune telefonate dalla compagna.
E a rendere meglio il senso del legame tra i due indagati vibonesi, la circostanza, rilevata dagli investigatori della Dda di Firenze, che Foti, una volta fallito il progetto di omicidio di Maisano, si preoccupa di procacciare un legale di fiducia a Conidi (del quale poi seguirà tutta la sua vicenda cautelare) ed ancora provvederà a fornire supporto sia in carcere, attraverso un appartenente alla polizia penitenziaria, loro parente, sia di natura economica.
A quel punto Foti, appresa la notizia, si recherà in caserma per ritirare l’auto di Conidi per poi incontrare il fratello di quest’ultimo rassicurandolo che avrebbe pensato lui a gestire la situazione: “No… ai soldi ci penso io, i vestiti ci pensi tu (inc.le) vediamo che dice l’avvocato oggi… se gli danno gli arresti domiciliari…”. Parlando poi alla sorella racconta che “è andata bene che non gli hanno trovato qua il fienile… se no… erano del gatto” alludendo, secondo gli investigatori, probabilmente ad un nascondiglio di qualcosa di illecito.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA