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Il pentito Renato Marziano racconta il meccanismo al servizio delle truffe al servizio dei piscopisani

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Il meccanismo delle truffe per arricchire i piscopisani nelle parole del collaboratore di giustizia vibonese Renato Marziano: tra le vittime anche aziende di importanti marche


VIBO VALENTIA – La sua affiliazione risale al 2015 ma già da quando aveva 14 anni aveva intrapreso la strada del crimine, dapprima con piccoli furti e danneggiamenti, poi con un omicidio che gli costò 11 anni di carcere. Ma è nel mondo delle truffe che Renato Marziano ha dato il meglio di sé. Il pentito 57enne di Vibo – del quale si è avuta conoscenza solo pochi giorni addietro, data in anteprima dal Quotidiano –  in uno dei verbali depositati nell’indagine “Portosalvo” racconta alla Dda quella che era diventata la sua dote messa al servizio del clan dei piscopisani, gestendo di società ed aziende attive soprattutto nel settore degli alimentari, che il gruppo utilizzava per la commissione di truffe. Il suo ruolo era quello di contattare i fornitori che io di volta in volta reperiva su internet.

L’AFFILIAZIONE DEL PENTITO NELLA ‘NDRANGHETA DI PISCOPIO

Prima di entrare in argomento, Marziano racconta la sua affiliazione affermando che a battezzarlo fu “Nazzareno Fiorillo, alias “U Tartaru”, al tempo capo del sodalizio, alla presenza di Giuseppe, Leonardo e Michele Fazio, Michele Lopreiato e Francesco Papuzzo. In particolare, ci ritrovavamo all’inferno dei locali dell’ingrosso di Pizzo, ci sistemammo a ruota e  Fiorillo pronunciò il rituale dopo il quale mi venne messa in mano un’immagine di San Michele Arcangelo che aveva precedentemente bruciato”. Il pentito racconta che questo rituale “serve a verificare la serietà dell’affiliato, visto che, se il nuovo inserito lascia cadere il santino al suolo, si comprende che si tratta di un soggetto debole e non sufficientemente determinato”. In quella circostanza ebbe la dote di picciotto con la consegna del “camuffo”, ossia un foulard di seta, da Nazzareno Fiorillo. Successivamente ho ricevuto le doti di picciotto di giornata e di camorrista, dopo circa sei mesi dal battesimo”.

IL COLLABORATORE MARZIANO RACCONTA IL SISTEMA DELLE TRUFFE

Tornando alle truffe, il collaboratore Marziano racconta che queste si rivelavano più semplici anche per il fatto che i Piscopisani avevano stretti legami con gli agenti di commercio di Vibo Valentia attraverso i quali “facevamo inizialmente degli ordini di merce dal valore contenuto e ne onoravamo il pagamento. Successivamente, conquistataci la fiducia dei fornitori, facevamo un ordinativo più grosso e, questa volta, non ne pagavamo il prezzo, consegnando assegni post-datati, sottoscritti da prestanome che Nazzareno Fiorillo aveva provveduto a reperire e che rimanevano scoperti”.

Marziano aggiunge che solitamente le somme iniziali per l’avvio della truffa le corrispondevano “Fiorillo, Papuzzo e soprattutto Fazio”, e che alla fine delle attività i proventi delittuosi “finivano per essere divisi tra i loro in parti eguali, per un 30%, e tra i collaboratori dell’esercizio commerciale, nonché per il saldo delle spese. I proventi – specifica ancora – erano sempre destinati esclusivamente a coloro che prendevano parte al reato. Tuttavia, Fiorillo deteneva personalmente la cosiddetta “bacinella”, ossia metteva da parte il denaro che serviva, soprattutto, a mantenere i Piscopisani ed loro familiari durante i periodi di detenzione ed a pagare le spese degli avvocati”.

E al riguardo il collaboratore menziona un episodio avvenuto  nell’estate del 2015, quando “Nazzareno e Michele Fiorillo (quest’ultimo figlio di Nazzareno) insieme Michele Lopreiato, si sono recati a Reggio Calabria per il processo di appello “Crimine” nei confronti di Michele Fiorillo, alias Zarrillo, portando del denaro per pagare i compensi del difensore di quest’ultimo”.

LE TRUFFE DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA AI GRANDI MARCHI

Non solo truffe con i piscopisani ma anche con Gaetano Comito, suo mentore e idolo, soggetto ritenuto legato al clan Mancuso di Limbadi, col quale era nata un’amicizia durata anni prima che questi venisse in carcere, portando Marziano ad affiliarsi ai piscopisani. E anche se non ricorda il nome delle ditte truffate, il pentito riferisce che si trattava di prodotti a marchio “Richo, Olivetti, Label, tuttavia l’azienda di Comito fu chiusa per fallimento e molti dei creditori non vennero pagati. La merce così truffata era stata poi piazzata in Campania, Toscana, Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna e a Nola in particolare dove abbiamo dato una buona parte di merce truffata ad Enrico Modesto che aveva disponibilità di capannoni che cambiavano di volta in volta all’interno del Cis”.

Ad eccezione di Marziano nessun’altra delle persone menzionate dal pentito è indagata nell’inchiesta “Portosalvo”.

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