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La vittima Filippo Piccione

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Si chiude il primo grado dell’omicidio di Filippo Piccione, il noto geologo ucciso il giorno di carnevale del 1993: condanna all’ergastolo per Salvatore Lo Bianco e 28 anni di carcere a Rosario Lo Bianco.


VIBO VALENTIA – Carcere a vita per Salvatore Lo Bianco, 51 anni, alias “U gniccu” e 28 anni di reclusione per Rosario Lo Bianco, 55 anni, entrambi ritenuti appartenenti all’omonimo clan. Questa la sentenza pronunciata oggi pomeriggio, 11 luglio 2028, dalla Corte di Assise di Catanzaro, presieduta dal giudice Forciniti, a conclusione del processo per l’omicidio di Filippo Piccione, avvenuto il 21 febbraio del 1993 in pieno centro a Vibo.
Accolte nella quasi totalità le richieste avanzate dal pm della Dda, Calcagno, al termine della requisitoria pronunciata il 2 luglio scorso. Per il secondo, difeso dall’avvocato Patrizio Cuppari, sono state riconosciute le attenuanti generiche mentre per il primo – difeso dagli avvocati Giuseppe Orecchio e Vincenzo Gennaro – la pena richiesta è stata l’ergastolo.

A pesare la circostanza che i racconti di diversi collaboratori di giustizia, tra cui Andrea Mantella, e quelli di Totò Mazzeo, lo abbiano indicato quale esecutore materiale del delitto commesso nei pressi di piazza Municipio, a Vibo, il giorno di carnevale, tant’è che gli autori avevano utilizzato delle maschere per celare il volto. Parti civili si sono costituiti i familiari della vittima nelle persone degli avvocati Francesco Gambardella e Danilo Iannello che hanno concluso alla passata udienza mentre oggi è stata la volta delle difese che hanno preceduto la camera di consiglio e la sentenza.

L’OMICIDIO IN PIENO CENTRO DI FILIPPO PICCIONE, CONOSCIUTO E STIMATO IN CITTA 

Piccione, di professione geologo, era stato ucciso a colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinata. Un fatto di sangue che all’epoca fece parecchio scalpore in città, sia per l’efferatezza, sia perché la vittima era un professionista molto conosciuto. Secondo quanto documentato, l’omicidio sarebbe stato deciso dai vertici della cosca Lo Bianco, che vollero vendicare la morte del loro congiunto Leoluca Lo Bianco, ucciso, nelle campagne di Vibo Valentia, l’1 febbraio 1992. Dalle investigazioni era emerso che i colpi di fucile che causarono la morte di quest’ultimo erano stati esplosi dall’interno di una proprietà di Piccione. Tale circostanza – secondo gli inquirenti – avrebbe ingenerato all’interno della cosca Lo Bianco, il sospetto di un coinvolgimento dell’imprenditore vibonese costituendo, dunque, la causale dell’efferato omicidio.

Un’indagine – rimasta dormiente per oltre 20 anni – che i carabinieri del Nucleo investigativo di Vibo e del Ros di Catanzaro, coordinati dalla Dda del capoluogo di regione, avevano ripreso attingendo non solo ai collaboratori di giustizia ma effettuando riscontri sulle numerose informazioni testimoniali raccolte in quel periodo e in questi ultimi due anni, rianalizzandole attentamente, riuscendo così a far emergere discrasie che in un primo momento non erano state notate.

PER SULL’OMICIDIO PICCIONE IMPORTANTE IL LAVORO DEI CARABINIERI CHE HA PORTATO ALLA CONDANNA DELL’ERGASTOLO

Gli uomini dell’Arma avevano, quindi, riacceso la macchina investigativa arrivando ad indagare 10 persone, due delle quali, appunto i due imputati, erano finite in carcere. I nomi delle altre invece erano stati espunti dalla richiesta di rinvio a giudizio. Piccione, prima di essere ammazzato, aveva segnalato nel corso del tempo, con tanto di denunce, agli investigatori una serie di danneggiamenti che avrebbe imputato proprio alla persona che l’anno prima della sua morte venne uccisa. 
Nell’udienza dell’ottobre 2023, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, il quale, allora 21enne, era stato incaricato di attentare alla vita del geologo, aveva parlato di quest’ultimo come “vittima innocente di mafia” evidenziando che non era stato lui ad uccidere Lo Bianco, eliminando in tal modo ogni sua responsabilità nell’avviare la concatenazione di eventi che avrebbero poi portato alla sua morte.

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