L'auto carbonizzata dove è stato ritrovato il cadavere di Tutino
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A distanza di quasi 3 anni dalla sua scomparsa, due gli arresti per l’omicidio Tutino. Il cadavere carbonizzato dell’uomo fu scoperto in un’auto crivellata di colpi e interrata
La Procura di Vibo Valentia e i carabinieri hanno fatto luce sull’omicidio di Giuseppe Salvatore Tutino, 63 anni, scomparso nel dicembre 2021. Il suo cadavere carbonizzato fu scoperto, un mese dopo, in un’auto crivellata di colpi di fucile. Auto trovata interrata nelle campagne di Calimera, una frazione di San Calogero nel vibonese. I Carabinieri del Comando Provinciale di Vibo Valentia e del Ros, coordinati dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia, nella mattinata odierna, a Rosarno e Siracusa, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Vibo Valentia, nei confronti di due soggetti. Uno dei due indagati si trova già in carcere per una condanna per associazione mafiosa e traffico di droga.
LE INDAGINI SULL’OMICIDIO DI TUTINO CHE HANNO PORTATO AGLI ARRESTI
Le complesse attività investigative, coordinate dalla Procura della Repubblica di Vibo Valentia, hanno permesso di ricostruire gli eventi che hanno portato al delitto. Ed hanno consentito di individuare nei due soggetti, entrambi ritenuti vicini ad ambienti criminali del rosarnese, le presunte responsabilità di un caso di “lupara bianca”. Scoperto attraverso un corposo impianto accusatorio di indagini tecniche e scientifiche portate avanti anche con il prezioso ausilio della Sezione Intervento Operativo del R.I.S. di Messina, insieme ad una complessa architettura investigativa di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, effettuate dai militari del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia, del N.O.R. di Tropea e del Reparto Crimini Violenti del R.O.S.
LA DINAMICA E LA CAUSA DELLA MORTE
Svelate anche la dinamica e le cause della morte, tipiche delle esecuzioni di matrice ‘ndranghetististica: l’esplosione ravvicinata di numerosi colpi d’arma da fuoco, l’agguato mediante inganno per indurlo ad allontanarsi dalla propria abitazione e l’eliminazione del cadavere per non lasciare tracce. I due presunti autori dell’omicidio – in relazione ai quali vige il principio di presunzione di non colpevolezza in attesa dei successivi approfondimenti giudiziari – che conoscevano molto bene la vittima, in concorso con altri soggetti da identificare, avrebbero infatti impiegato dei mezzi meccanici per eseguire le operazioni di scavo di una buca. All’interno di questa, successivamente, avrebbero collocato e dato alle fiamme l’autovettura nella quale vi era ancora il cadavere, al fine di “farlo sparire” definitivamente.
I medici legali in sede di autopsia, svolta in due fasi, hanno rinvenuto nel cadavere 11 frammenti plumbei diversamente distribuiti. I carabinieri del RIS di Messina nel corso di accertamenti balistici ne hanno accertato la
compatibilità con munizionamento spezzato, assemblato in cartucce da caccia. In considerazione del numero del materiale balistico rinvenuto sulla carcassa dell’autovettura e nei frammenti ossei della vittima è stato accertato che la morte di Tutino sia avvenuta a causa dell’esplosione di almeno due colpi di fucile caricato a pallettoni.
LA SVOLTA NELLE INDAGINI
L’auto con all’interno il cadavere di Tutino è stata trovata a Calimera di San Calogero. Ai confini delle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria il 17 gennaio 2022. Sull’autovettura vi erano ancora marcati i segni di una benna agganciata ad un mezzo agricolo, nel tentativo non riuscito di seppellire l’autovettura e il cadavere carbonizzato. Nel primo sopralluogo effettuato dai militari è stato rinvenuto nei pressi della buca un accendino di colore verde raffigurante una banconota da 100 euro. E dei frammenti di indicatori visivi e una traccia di pneumatico.
Proprio il rinvenimento dell’accendino, con il quale si presume che l’auto sia stata data alle fiamme, nonostante sullo stesso non siano state rinvenute tracce utili per la comparazione del DNA, ha consentito di raccogliere importanti elementi utili allo sviluppo delle indagini. Una ulteriore svolta alle indagini è scaturita dall’analisi dei contenuti telematici rinvenuti nel tablet e negli apparati cellulari sequestrati ad uno degli indagati.
I RETROSCENA DEL DELITTO
La scomparsa della vittima, denunciata dalla figlia il 17 dicembre 2021, aveva catturato l’attenzione dei media nazionali e locali a causa delle circostanze sospette dell’allontanamento. L’uomo, sempre premuroso nei confronti della figlia, aveva infatti smesso improvvisamente di contattarla, innescando in lei il timore che potesse essere accaduto qualcosa di brutto. Da qui l’istinto di rivolgersi ai Carabinieri di Rosarno per denunciare la scomparsa del padre.
A dare l’allarme del ritrovamento del cadavere, nel tardo pomeriggio del 17 gennaio 2022 ai Carabinieri di San Calogero, è stato il proprietario di un fondo agricolo in località “Barile”, nei pressi del torrente “Mesima”, che delimita il confine tra la provincia di Reggio Calabria e Vibo Valentia. L’uomo, nel recarsi nel proprio aranceto, si era accorto della presenza anomala di solchi di pneumatici. Seguite le tracce si è imbattuto in una Fiat Panda bruciata e in un forte odore di materiale in decomposizione. I primi accertamenti sulla targa, parzialmente distrutta dalle fiamme, hanno consentito di risalire subito al proprietario dell’autovettura poi identificato nella persona scomparsa.
L’INTRECCIO CRIMINALE TRA TUTINO E GLI AUTORI DELL’OMICIDIO
Le indagini hanno svelato fin da subito un possibile intreccio criminale tra gli autori e la vittima nell’ambito dello spaccio e della produzione di stupefacenti. Evento scatenante la ferocia omicidiaria sarebbe stato un debito di qualche decina di migliaia di euro che la vittima vantava nei confronti di uno dei due indagati. Sempre per motivi legati alla produzione di stupefacenti. Rimasti infruttuosi i tentativi da parte della vittima di ricevere quanto dovuto, avrebbe deciso di recarsi presso le coltivazioni di kiwi degli stessi, recidendo le preziose piante, per poi vantarsi di non aver alcun timore, anche dopo alcune minacce ricevute dai famigliari di uno dei responsabili dell’omicidio. Tale gesto, oltre ad accendere una profonda ira, avrebbe anche scatenato una minacciosa reazione:
uno dei due presunti responsabili ha infatti pubblicato su un noto social network alcuni contenuti, usando come sottofondo una canzone folkloristica, il cui testo era un mix tra una minaccia velata e un rito di affiliazione alla ‘ndrangheta: “Chi tanto parla, niente guadagna, solo una cassa fatta da 4 legni e così hanno scritto i Cavalieri di Spagna, la lingua è peggio della gramigna”.
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