Il Procuratore Nicola Gratteri assieme ai vertici vibonesi dell'Arma
5 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – Quando Emanuele Mancuso ha iniziato a collaborare con la Dda (LEGGI LA NOTIZIA) la sua famiglia ha fatto di tutto per dissuaderlo. Prima con le buone, poi con le cattive. E queste ultime hanno toccato gli affetti più intimi dell’ex rampollo del casato mafioso di Limbadi: la figlioletta appena nata.
Ecco perché il giovane pentito ad un certo punto ha iniziato a titubare ma anche di fronte a quella terribile prospettiva non vedere la bimba, non ha ceduto, complice soprattutto la presenza del procuratore Nicola Gratteri e dei suoi uomini nonché dei carabinieri. Alla fine, il 31enne ha proseguito il suo percorso collaborativo e tutto si è risolto.
«Non ci può essere onore in una simile vicenda, non ci possono essere valori, non ci può essere umanità nel minacciare una cosa del genere. Specialmente se la condotta è perpetrata dai tuoi stessi familiari che adesso sono stati arrestati o indagati da quella Dda alla quale Mancuso si era rivolto chiudendo con quel passato criminale che, a dispetto della giovane età, era già abbastanza lungo e intriso di violenza»., hanno affermato stamani gli investigatori in conferenza stampa.
Subornazione è l’ipotesi di reato avanzata dagli investigatori, una contestazione che non si sente spesso in giro ma che nell’ambiente in cui si sarebbe verificata assume uno spessore diverso. Ma non l’unica. Mosse a vario titolo vi sono anche quelle di armi, minacce, favoreggiamento.
Reati, questi, che hanno portato all’emissione di ordinanze cautelari ai danni di Giuseppe Salvatore Mancuso (30 anni), fratello del pentito, di Giovannina del Vecchio (51 anni) la madre; e Rosaria Del Vecchio (54 anni) la zia; il primo in carcere (ma già lo è da quando, qualche giorno addietro, è stata posta fine alla sua latitanza – LEGGI) e le altre ai domiciliari. E stessa sorte di in galera è toccata a Francesco Paolo Pugliese (18 anni) che avrebbe consentito a Giuseppe Mancuso di mantenere il proprio status di “uccel di bosco”. Entrambi erano stati arrestati tre settimane addietro a seguito del blitz dell’Arma a Zaccanopoli.
In tutto sono 10 le persone indagate, tra le quali spicca anche l’ex compagna del collaboratore di giustizia, Nensy Chimirri, per la quale è stata disposta dal giudice per le indagini preliminari la misura del divieto di dimora in Calabria.
Gli altri per i quali il magistrato non ha ritenuto raggiunta la necessità di emettere un provvedimento cautelare sono la escort dominicana Maria Luisa Borrome (40 anni), presente con i due giovani al momento dell’irruzione dei carabinieri; Antonino Maccarone, 32 anni, Desiree Antonella Mancuso (27 anni) e Pantaleone Mancuso, 58 anni, detto “l’Ingegnere”, boss e padre del pentito.
Quest’ultimo, madre, fratello, zia e d ex compagna di Emanuele, facendo leva sulla presenza della figlioletta, avrebbero minacciato il 31enne a non rendere più dichiarazioni alla Dda. In che modo? Con pressioni psicologiche continue. Ad esempio, la Chimirri gli ha fatto recapitare una missiva nella quale gli scriveva: “hai bisogno di tutti noi.., devi curarti dalle tue dipendenze” o “Puoi tornare, io ci sarò con te, come tutti.”, con allegata la foto della figlia appena nata in braccio al fratello Giuseppe.
La stessa nel corso di un colloquio visivo col ragazzo e avendo avuto conferma della volontà di proseguire la collaborazione, ribatteva: «Quelli che fanno così sono malati di mente… ma tu lo sai che problema avevi no? E che hai ancora perché sicuramente ancora sei mezzo stordito!»; e ancora il 24 gennaio 2019, aveva inviato al difensore di Mancuso una richiesta diretta ad ottenere l’autorizzazione per il rilascio della carta valida per l’espatrio della minore e poi delle lettere nelle quali riferiva “ti amo solo se tornerai a casa”, “ti amo, solo se lo vuoi”. Pressioni che avrebbe esercitato anche la zia di Mancuso nel corso dei colloqui telefonici richiesti dal detenuto per conoscere la situazione familiare, e nel corso dei quali la donna affermava «E vabbè, ma tua madre e tuo padre sono la famiglia tua… tua mamma come sta, male!…sa che un figlio non ce l’ha più come vuoi che stia?».
La madre del pentito, poi, profittando di un momento di fragilità del figlio, detenuto in località protetta in regime di arresti domiciliari – dovuto ad alcune criticità nella gestione del piano di protezione, ai mancati colloqui visivi con la figlia minore ed alle preoccupazioni per il contesto nel quale viveva la bambina – era riuscita a convincerlo a cedere alle pressioni psicologiche più volte esercitate nel corso dei pregressi colloqui telefonici, accettando così la sua proposta, formulata in ragione della quale“se avesse fatto l’uomo, restituendo l’onore alla famiglia”, di fuoriuscita dal programma di protezione e di espiazione in carcere della pena detentiva. In quel modo gli avrebbe permesso in cambio di vedere la propria figlia 5 volte al mese, gli avrebbe dato soldi e vestiti, e si sarebbe occupata delle sue spese legali, aggiungendo che lei e la sorella si sarebbero trasferite nei pressi della casa di reclusione con la bambina per consentirgli di vederla assiduamente.
Emanuele Mancuso a quel punto cedette e decise di non presentarsi ad un interrogatorio con il magistrato per rilasciare altre dichiarazioni salvo poi, attraverso una delicata opera di convincimento da parte del procuratore Gratteri e dei suoi uomini, fare marcia indietro.
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