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VIBO VALENTIA – Tra pochi giorni cadrà il terzo anniversario della sua tragica scomparsa. Ucciso per errore perché si trovava al posto sbagliato, nel momento sbagliato e con la persona sbagliata. Si chiamava Filippo, Filippo Ceravolo, aveva appena 19 anni, compiuti nel maggio precedente. La sera del 25 ottobre del 2012 colpi di fucile sparati da mano allo stato ignota hanno posto fine alla sua esistenza gettando nella disperazione più totale i suoi familiari. Un delitto, il suo, che si inquadrerebbe nella sanguinosa faida che vede contrapposti due gruppi storici che si contendono la vasta zona delle Preserre vibonesi e nella quale il giovane rappresenta la tragica fatalità. Sono passati quasi tre anni da quel delitto efferato.

Tre anni di indagini serrate da parte dei carabinieri della Compagnia di Serra San Bruno scavando senza soluzione di continuità negli aspetti più nascosti di questo omicidio.

Tuttavia, al momento, la Dda avrebbe chiesto al gip l’archiviazione del caso. Una decisione inaspettata ed inattesa ma che potrebbe avere una propria motivazione di base.

Quale sia al momento, ovviamente, non è dato saperlo. Diverse potrebbero essere le chiavi di lettura e non necessariamente quelle che porterebbero all’assenza di elementi probatori. Nell’inchiesta coordinata dal pm distrettuale Camillo Falvo, risulterebbero indagate due persone e questo è stato anche più volte riferito dal padre di Filippo, Martino che ha avuto la tenacia di far mantenere i riflettori puntati sulla tragica sorte del figlio anche a tre anni di distanza. Fino ad oggi, tuttavia, alcun provvedimento è stato adottato.

Si sta indagando, e questa è cosa nota, su un filone molto più grande, molto più corposo come quello della faida tra il gruppo dei Loielo e quello dei Maiolo-Emanuele che, contemporaneamente a quella tra Patania e Piscopisani, ha mietuto non poche vittime. Due guerre tra gruppi criminali che, per come sta emergendo nelle ultime inchieste coordinate dalla Dda proprio nella persona del pm Falvo, hanno un loro filo conduttore, un loro trait d’union. Anzi più d’uno, anche se quello principale porta al boss Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”, finanziatore del clan di Stefanaconi e pronto a correre in supporto di Rinaldo Loielo – figlio del boss, Giuseppe, ucciso nel 2002 insieme al fratello dal gruppo rivale facente capo, per come risulta dall’inchiesta “Luce nei Boschi”, a Bruno Emanuele – tanto da reperirgli una bomba ad alto potenziale.

Filippo non era un obiettivo, era slegato dai quei contesti criminali, purtroppo lo è diventato, inconsapevolmente, nel momento in cui si è trovato a bordo dell’auto condotta da Domenico Tassone, cugino di Giovanni Emmanuele (scampato ad un agguato qualche mese prima e a sua volta parente di Bruno Emanuele) uscito miracolosamente illeso dai proiettili che hanno colpito il 19enne alla testa facendo finire la Panda sulla quale viaggiavano in una scarpata lungo la strada tra Pizzoni e Soriano. Nell’ottobre del 2014 Filippo fu ufficialmente riconosciuto vittima di mafia dal Ministero dell’Interno accogliendo l’istanza inoltrata a febbraio scorso dal legale di fiducia della famiglia, l’avvocato Maria Rosaria Turcaloro. Ottobre, dunque, è un mese ricorrente nella vita dei Ceravolo. Un mese di mestizia e dolore.

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