Anna e Natalia
3 minuti per la letturaSPILINGA – Bombe, polvere, feriti, rifugi, famiglie spezzate, occhi disorientati, hanno visto questo Natalia e Anna, una madre e una figlia, cittadine del Donbass, oggi superstite di un inferno, segnate e provate dalla paura di morire. Sono ucraine ma parlano anche il russo, hanno una parte della famiglia in Russia: la cugina Olga è russa di Rostov, si sono sempre amate come sorelle, si chiamano così, in questi 15 giorni si sono sentite al telefono, con la voce incrinata e sospesa, avevano paura che non si sarebbero più viste.
La potenza di questa storia sta proprio qui: nel fortissimo legame di una famiglia che è sia russa che ucraina, ritrovatasi in una trincea con addosso l’acre odore della polvere da sparo. Immaginiamolo il treno che da Kramatorsk ha portato Anna e Natalia al confine con la Polonia: camminava a luci spente, con i passeggeri atrofizzati dalla paura, si chiedevano che ne sarebbe stato della loro sopravvivenza, delle case che lasciavano, dei cittadini che erano stati sino a quel momento. La guerra aliena, ti spoglia di tutto, diventi un fuggitivo dall’identità sfumata: semplicemente un uomo che scappa dalla morte, il passato prossimo si perde, si sbiadisce.
Da due giorni Anna e Natalia sono a Spilinga, accolte dalla cugina Olga Francolino, sposata in Italia, dove vive da qualche anno. A raccontarci questa storia è il marito di Olga, Marcello Francolino, il quale ha organizzato il viaggio delle due donne, durato quattro giorni. «Prima della guerra – racconta Marcello – mia moglie Olga si sentiva con la cugina Anna e la zia Natalia anche più volte al giorno, era una conversazione quotidiana. Dal 24 febbraio la corrispondenza era diventata un incubo: ogni giorno sempre peggio, la paura aumentava di ora in ora. Anna e Natalia hanno deciso di fuggire quando tutte le altre persone hanno deciso di farlo, abbiamo pianificato a distanza il viaggio. Anna ha 50 anni, – continua Marcello – lavorava come impiegata al controllo della qualità delle mense, ha una figlia di 26 che è rimasta a Kiev, dove vive, fa la poliziotta e ad oggi trascorre la gran parte del tempo nel bunker. Un giovanissimo nipote di Natalia, figlio del figlio, è in queste ore al fronte e di lui non sappiamo nulla».
Anna stessa ci racconterà in seguito l’epopea del viaggio: «Siamo arrivati da Sloviansk a Kramatorsk per prendere il treno, qui però i bombardamenti erano vicini e pesanti, ci siamo dovuti nascondere, io ho avuto un malore». Le due donne sono in Italia da due giorni: «Appena arrivate si sono abbracciate con mia moglie in un pianto liberatorio, visibilmente traumatizzate. Vorrei – continua Marcello – che le istituzioni non ci lasciassero soli, che ci sostenessero, perché non sappiamo quanto durerà».
Anche dalla Russia giungono notizie preoccupanti: Olga è in contatto quotidianamente con la madre e con il figlio, ma teme che le corrispondenze con l’Occidente vengano ridotte. Da questa storia comprendiamo come in fondo, questa guerra vista con gli occhi degli abitanti del posto, della gente di strada, abbia ancora meno senso.
«Io mi sento oggi ancora più Ucraina – ci confida Anna – nella mia regione la guerra, le bombe, le fughe a qualsiasi ora del giorno e della notte, le abbiamo già vissute nel 2014». Questi sono i racconti delle donne del Donbass, delle famiglie russe e ucraine: di chi non riesce ad immaginare che ne sarà della sua famiglia.
Natalia e Anna oggi si ritrovano in un piccolo borgo dell’Italia meridionale, in attesa di una normalità che non sanno se e quando arriverà.
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