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VIBO VALENTIA – Quella che vogliamo raccontarvi in queste righe è la storia di Maria Maiolo, che insieme alla sua famiglia è stata colpita dal Covid. Lei, ex studentessa di Vibo, vivrà ma vedrà il proprio amato padre essere piegato dal virus.

«Tutto è iniziato il 24 marzo 2021 – racconta la ragazza -. Io, mio padre, mia madre e il mio fidanzato scopriamo di essere positivi al Covid. La notte prima, mio padre tossiva come se il petto si dovesse aprire e quello strano pizzico in gola che mi tormentava da qualche ora è stato il mio primo segnale. Il cuore sobbalzava ad ogni suo colpo di tosse e tutto ciò che sono riuscita a fare è una tisana con zenzero, limone e miele, che per qualche minuto gli ha dato tregua. I risultati sono stati immediati, inequivocabili. I primi giorni sembrava una forma lieve, anche papà migliorava e tutto sembrava andare per il verso giusto». 

Finché, da un giorno all’altro, la situazione precipita. È la notte tra l’1 e il 2 aprile: «Per qualche attimo – afferma Maria – ho pensato di non arrivare all’alba. Papà dall’altra stanza tossiva, forte, come in un video registrato con una vecchia videocamera. A breve sarebbe arrivato l’ossigeno».

L’ultimo viaggio della giovane con suo padre è stato su un’ambulanza: «Stesso veicolo, stesso ospedale, stessa camera, stessa patologia: Polmonite interstiziale bilaterale, una forma particolarmente seria di polmonite infettiva, che va a intaccare i polmoni nella loro parte più profonda».

Nella sua forma acuta, è la conseguenza più seria dell’infezione da Covid-19, che può portare in pochi giorni a un’insufficienza respiratoria grave. La diagnosi arriva dritta allo stomaco come un pugno: «“Signorina – si sente dire Maria – lei e suo padre avete la stessa, identica patologia, a portarvi su due piani diversi è solo l’età. Trent’anni in più fanno la differenza e se lei con tempo e sacrificio ha possibilità di farcela, per suo padre purtroppo non è così scontato. Lo saluti perché non so se lo rivedrà, e se riuscisse a farlo sarà tra tanto tempo”».

Insieme trascorrono quella che sarebbe stata la loro ultima cena, tra sorrisi e spensieratezza, ben lontani dalle lacrime che avrebbero segnato il volto di Maria e dei suoi cari.

Ma quel momento venne «spazzato via da un’infermiera che prese le misure per legare sotto le braccia di mio padre un casco che ha portato per 96 ore di fila, steso a pancia in giù senza mai lamentarsi, affidandosi completamente ai dottori per i quali nutriva una stima profonda. Ci sono cose di quella notte, carezze, pianti, sguardi, parole, paure che rimarranno sempre nostre. Il nostro ultimo istante insieme prima che lo spostassero di reparto, quel momento, somiglia tanto a quando Roberto Benigni, nel film “La vita è bella”, saluta il figlio impaurito mentre veniva portato via».

La descrizione che la ragazza fa di quel momento mette o brividi: «Mi hai guardato mentre trattenevo le lacrime e con un sorriso accennato, nascosto dalla mascherina dell’ossigeno, ti salutavo con un cenno della mano, mi hai sorriso e hai fatto finta di essere un pesce in un acquario per farmi ridere. Quel sorriso è l’ultima cosa che hai visto di me. Sono contenta che tu non mi abbia visto sul divano con l’ossigeno per tanti giorni, che non mi abbia visto piangere. Sono contenta che non tu mi abbia visto soffocare dopo aver provato a riprendere il mio strumento. Sono contenta che tu non mi abbia visto perdere i capelli. Il nostro ultimo saluto è stato un sorriso. Uno dei tanti che accomunava il nostro rapporto, che non era fatto di abbracci e baci ma di lunghe chiacchierate, risate, sorrisi, sguardi e sogni. I giorni in cui ti sei ripreso mi hai detto tante cose. Mi avevi chiesto di raccontare quello che ci è successo a chi non ci crede, a chi non sa il lavoro degli infermieri e dei dottori, a chi lo sottovaluta. Ci ho messo un po’ per raccogliere le forze e farlo ma ho esaudito il tuo desiderio».

Il papà di Maria si è spento il 27 aprile 2021 all’Ospedale Valduce di Como, a 52 anni, in seguito a delle complicanze dovute al covid. «Ci ha lasciato l’incarico di raccontare la nostra battaglia che purtroppo abbiamo perso. Ci ha lasciato l’incarico di ringraziare il reparto covid dell’ospedale Valduce che si è preso cura di lui fino all’ultimo giorno. Mio padre è morto pochi giorni prima della dose di vaccino. È morto per qualcosa a cui ancora le persone non credono, sottovalutano. Sono testimone della mia lotta che non ho ancora completamente vinto e di quella di mio padre.  Il covid colpisce nel profondo, ogni parte e anche quando è andato via ti lascia quegli strascichi che non ti permettono di vivere la tua vita. La mia si è fermata a quel 24 marzo. Non ho ancora vinto ma sto lottando, devo vincerla per me e per mio padre che l’ultima sera con un filo di voce mi ha detto: “Mari, dobbiamo curarci, mi raccomando”. Quel mi raccomando che ha caratterizzato per anni i nostri messaggi e la fine delle nostre conversazioni, è stata l’ultima cosa che mi hai detto. Questa è parte della nostra storia, senza filtri e mezze misure, fatta di verità e tanto dolore.  Papi, non so se mai accetterò com’è andata, di non vederti, non toccarti, non sentirti, non so se mai riuscirò a rimettere insieme i pezzi per ripartire ma mi hai lasciato la più bella dell’eredità. una mamma speciale, un fratello che è la mia spalla, tanti zii, cugini. Non potevo chiedere di più. Sento le spalle scoperte dalla tua protezione presente e forte ma ti sento addosso. Sei seconda pelle e lo sarai sempre. La tua “cici”».

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